Maria Valtorta: «L’Evangelo come mi è stato rivelato» VOLUME X

Cap. 610 Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù.
Cap. 611 La chiusura del Sepolcro e il ritorno al Cenacolo.
Cap. 610 – DCX.
Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù.
19 febbraio 1944.
610.1 Dire quello che io provo è inutile. Farei unicamente un’esposizione del mio soffrire, e perciò senza valore rispetto al soffrire che io vedo. Lo descrivo dunque, senza commenti su me.
610.2 Assisto alla sepoltura di Nostro Signore.
Il piccolo corteo, dopo aver sceso il Calvario, trova alla base dello stesso, scavato nel calcare del monte, il sepolcro di Giuseppe d’Arimatea. In esso entrano i pietosi col Corpo di Gesù.
Vedo il sepolcro fatto così. È un ambiente ricavato nella pietra in fondo ad una ortaglia tutta in fiore. Sembra una grotta, ma si capisce scavata dalla mano dell’uomo. Vi è la camera sepolcrale propriamente detta con i suoi loculi (fatti diversi da quelli delle catacombe). Questi sono come fori tondi che penetrano nella pietra come buchi di un alveare, tanto per dare un’idea. Per ora sono tutti vuoti. Si vede l’occhio vuoto di ogni loculo come una macchia nera nel grigiastro della pietra. Poi, precedente a questa camera sepolcrale, vi è come un’anticamera. Al centro della stessa, il tavolo di pietra per l’unzione. Su questo viene posto Gesù nel suo lenzuolo.
Entrano anche Giovanni e Maria. Non di più, perché la camera preparatoria è piccola e, se fossero in più persone, non potrebbero più muoversi. Le altre donne stanno presso la porta, ossia presso l’apertura, perché non vi è porta vera e propria.
610.3 I due portatori scoprono Gesù.
Mentre essi preparano, in un angolo, su una specie di mensola, alla luce di due torce, le bende e gli aromi, Maria si curva sul Figlio e piange. E daccapo lo asciuga col velo che è ancora ai lombi di Gesù. È l’unico lavacro che ha il Corpo di Gesù, questo delle lacrime materne, e se sono copiose e abbondanti non servono però che a levare superficialmente e parzialmente polvere, sudore e sangue di quel Corpo torturato.
Maria non si stanca di carezzare quelle membra gelate. Con una delicatezza ancor maggiore che se toccasse quelle di un neonato, Ella prende le povere mani straziate, le stringe fra le sue, ne bacia le dita, le stende, cerca di riunire le slabbrature delle ferite come per medicarle, perché dolgano meno, si appoggia sulle guance quelle mani che non possono più accarezzare, e geme, geme nel suo dolore atroce. Raddrizza e unisce i poveri piedi, che stanno così abbandonati, come mortalmente stanchi di tanto cammino fatto per noi. Ma essi si sono troppo spostati sulla croce, e specie il sinistro sta quasi per piatto come non avesse più caviglia.
Poi torna al Corpo e lo carezza, così freddo e già rigido, e quando vede una nuova volta lo squarcio della lancia che ora, nella posizione supina del Salvatore sulla lastra di pietra, è aperto e beante come una bocca, lasciante vedere meglio ancora la cavità toracica — la punta del cuore appare distintamente fra lo sterno e l’arco costale sinistro, e due centimetri circa sopra di essa vi è l’incisione fatta dalla punta della lancia nel pericardio e nel cardio, lunga un buon centimetro e mezzo, mentre quella esterna al costato destro è di almeno sette — Maria grida di nuovo come sul Calvario. Sembra che la lancia trapassi Lei, tanto Ella si contorce nel suo dolore, portando le mani al cuore suo, trafitto come quello di Gesù. Quanti baci su quella ferita, povera Mamma!
Poi torna al capo riverso e lo raddrizza, poiché è rimasto lievemente piegato indietro e fortemente a destra. Cerca di chiudere le palpebre, che si ostinano a rimanere semichiuse, e la bocca rimasta aperta, contratta, un poco storta a destra. Ravvia i capelli, solo ieri tanto belli e ordinati, ed ora fatti tutto un groviglio appesantito dal sangue. Districa le ciocche più lunghe, le liscia sulle sue dita, le arrotola per ridare ad esse la forma dei dolci capelli del suo Gesù, così morbidi e ricciuti. E geme, geme perché si ricorda di quando era bambino… È il motivo fondamentale del suo dolore: il ricordo dell’infanzia di Gesù, del suo amore per Lui, delle sue cure che temevano anche dell’aria più viva per la Creaturina divina, e il confronto con quanto gli hanno fatto, ora, gli uomini.
610.4 Il suo lamento mi fa stare male. Ed il suo gesto quando, gemendo: «Che ti hanno, che ti hanno fatto, Figlio mio?», non potendolo vedere così, nudo, rigido, su una pietra, Ella se lo raccoglie in braccio, passandogli il braccio sotto le spalle e serrandolo sul petto con l’altra mano e ninnandolo, con la stessa mossa della grotta della Natività, mi fa piangere e soffrire come se una mano mi frugasse nel cuore.
4 ottobre 1944.
610.5 La terribile angoscia spirituale di Maria.
La Madre è ritta presso la pietra dell’unzione e carezza, e contempla, e geme, e piange. La luce tremolante delle torce illumina a tratti il suo volto, ed io vedo dei grossi goccioloni di pianto rotolare sulle guance pallidissime di un viso devastato. E odo le parole. Tutte. Ben distinte, per quanto mormorate fra le labbra, vero colloquio di anima materna coll’anima del Figlio. Ricevo l’ordine di scriverle.
610.6 «Povero Figlio! Quante ferite!… Come hai sofferto! Guarda che t’hanno fatto!… Come sei freddo, Figlio! Le tue dita sono di gelo. E come sono inerti! Paiono spezzate. Mai, neppure nel sonno più abbandonato dell’infanzia, né in quello pesante della tua fatica di artiere, erano inerti così… E come sono fredde! Povere mani! Dàlle alla tua Mamma, tesoro mio, amore santo, amore mio! Guarda come sono lacerate! Ma guarda, Giovanni, che squarcio! Oh! crudeli! Qui, qui, dalla tua Mamma questa mano ferita. Che te la medichi. Oh! non ti farò male… Userò baci e lacrime, e col fiato e con l’amore te la scalderò. Dammi una carezza, Figlio! Tu sei di ghiaccio, io ardo di febbre. La mia febbre avrà sollievo dal tuo gelo, e il tuo gelo si molcerà alla mia febbre. Una carezza, Figlio! Sono poche ore che non mi carezzi, e mi paiono secoli. Vi furono mesi senza tue carezze, e mi parvero ore perché sempre aspettavo il tuo venire e di ogni giorno facevo un’ora, di ogni ora un minuto, per dirmi che Tu non m’eri lontano da una o più lune, ma da solo pochi dì, da sole poche ore. Perché ora è così lungo il tempo? Ah! strazio inumano! Perché Tu sei morto. Mi ti hanno morto! Non ci sei più sulla Terra! Più! In qualunque posto io getti l’anima per cercare la tua e abbracciarsi ad essa, poiché trovarti, averti, sentirti era la vita della mia carne e del mio spirito, in qualunque posto io ti cerchi con l’onda del mio amore, non ti trovo più, più non ti trovo! Di Te non mi resta che questa spoglia fredda, questa spoglia senz’anima! O anima del mio Gesù, o anima del mio Cristo, o anima del mio Signore, dove sei? Perché avete levata l’anima al Figlio mio, iene crudeli congiunte con Satana? E perché non m’avete seco lui crocifissa? Avete avuto paura di un secondo delitto? (La voce si fa sempre più forte e straziante). E che era uccidere una povera donna, per voi che non avete esitato ad uccidere Dio fatto Carne? Non avete commesso un secondo delitto? E non è questo il più nefando, di lasciare sopravvivere una madre al figlio trucidato?».
610.7 La Madre, che con la voce aveva alzato anche il capo, ora torna a curvarsi sul volto spento ed a parlare piano, solo per Lui:
«Almeno nella tomba, qui dentro, saremmo stati insieme come insieme saremmo stati nell’agonia sul legno, e insieme nel viaggio oltre vita e incontro alla Vita. Ma, se seguirti non posso nel viaggio oltre la vita, qui ad attenderti posso restare».
Si torna a drizzare e dice forte ai presenti:
«Andate tutti. Io resto. Chiudetemi qui con Lui. Lo attendo. Che dite? Che non si può? Perché non si può? Se fossi morta non sarei qui, coricata al suo fianco, in attesa d’essere composta? Sarò al suo fianco, ma in ginocchio. Vi fui quando Egli vagiva, tenero e roseo, in una notte decembrina. Vi sarò ora, in questa notte del mondo che non ha più il Cristo. Oh! vera notte! La Luce non è più!… O gelida notte! L’Amore è morto! Che dici, Nicodemo? Mi contamino? Il suo Sangue non è contaminazione. Non mi contaminai neppure nel generarlo. Ah! come uscisti, Tu, Fiore del mio seno, senza lacerare fibra, ma proprio come fiore di profumato narciso, che sboccia dall’anima del bulbo-matrice e dà fiore anche se l’abbraccio della terra non è stato sulla matrice. Vergine fiorire che in Te ha riscontro, o Figlio venuto da abbraccio celeste e nato fra celesti dilagar di fulgori».
610.8 Ora la Madre straziata si torna a curvare sul Figlio, straniandosi da ogni altra cosa che non sia Lui, e mormora piano:
«Ma te la ricordi, Figlio, quella sublime veste di splendori che tutto vestì mentre il tuo sorriso nasceva al mondo? Te la ricordi quella beatifica luce che il Padre mandò dai Cieli per avvolgere il mistero del tuo fiorire e per farti trovare meno repellente questo mondo oscuro, a Te che eri Luce e venivi dalla Luce del Padre e dello Spirito Paraclito? Ed ora?… Ora buio e freddo… Quanto freddo! Quanto! Io ne tremo tutta. Più di quella notte di dicembre. Allora c’era la gioia dell’averti a scaldarmi il cuore. E Tu avevi due ad amarti… Ora… Ora sono sola e morente io pure. Ma ti amerò per due: per questi che ti hanno amato tanto poco da abbandonarti nel momento del dolore; ti amerò per quelli che ti hanno odiato, per tutto il mondo ti amerò, o Figlio. Non sentirai il gelo del mondo. No, non lo sentirai. Tu non mi apristi le viscere per nascere, ma per non farti sentire il gelo io sono pronta ad aprirmele e chiuderti nell’abbraccio del seno mio. Tu lo ricordi come questo seno ti amò, piccolo germe palpitante?… È sempre quel seno. Oh! è il mio diritto e il mio dovere di Madre. È il mio desiderio. Non c’è che la Madre che possa averlo, che possa avere per il Figlio un amore grande quanto l’universo».
610.9 La voce si è andata elevando e ora, tutta forte, dice: «Andate. Io resto. Tornerete fra tre giorni ed usciremo insieme. Oh! rivedere il mondo appoggiata al tuo braccio, o Figlio mio! Come sarà bello il mondo alla luce del tuo risorto sorriso! Il mondo fremente al passo del suo Signore! La Terra ha tremato quando la morte ti ha svelto l’anima e dal cuore t’è uscito lo spirito. Ma ora tremerà… oh! non più di orrore e spasimo, ma del fremito soave, a me sconosciuto ma che la mia femminilità intuisce, che scuote una vergine quando, dopo un’assenza, sente la pedata dello sposo che viene per le nozze. Più ancora: la Terra fremerà di un fremito santo, come io ne fui scossa, fin nel profondo più fondo, quando ebbi in me il Signore Uno e Trino, e il volere del Padre col fuoco dell’Amore creò il seme da cui Tu sei venuto, o mio Bambino santo, Creatura mia, tutta mia! Tutta! Tutta della Mamma! della Mamma!… Ogni bambino ha padre e madre. Anche il bastardo ha un padre e una madre. Ma Tu hai avuto la Mamma sola a farti la Carne di rosa e giglio, a farti questi ricami di vene, azzurre come i nostri rivi di Galilea, e queste labbra di melograno, e questi capelli che più vaghi non l’hanno le capre biondo-chiomate dei nostri colli, e questi occhi, due piccoli laghi di Paradiso. No, anzi, che son
dell’acqua da cui viene l’unico e quadruplice Fiume del Luogo di delizie [45], e seco porta, nei suoi quattro rami, l’oro, l’onice, il bidellio e l’avorio, e i diamanti, e le palme, e il miele, e le rose, e ricchezze infinite, o Fison, o Gehon, o Tigri, o Eufrate: via agli angeli giubilanti in Dio, via ai re che Te adorano, Essenza conosciuta o sconosciuta, ma vivente, ma presente anche nel cuore più oscuro! Solo la tua Mamma ti ha fatto questo, col suo “sì”… Di musica e di amore ti ho composto, di purezza e ubbidienza ti ho fatto, o Gioia mia!
610.10 Il tuo Cuore cosa è? La fiamma del mio che si è partita per condensarsi in corona intorno al bacio di Dio alla sua Vergine. Ecco cosa è questo tuo Cuore. Ah!».
(L’urlo è straziante, al punto che la Maddalena accorre a soccorrere insieme a Giovanni. Le altre non osano e, piangenti e velate, sogguardano dall’apertura).
«Ah! te l’hanno spezzato! Ecco perché sei così freddo e così fredda sono io! Non hai più dentro la fiamma del mio cuore, ed io non posso più continuare a vivere per il riflesso di quella fiamma, che era mia e che ti ho data per farti un cuore. Qui, qui, qui, sul mio petto! Prima che morte m’uccida ti voglio scaldare, cullare ti voglio. Ti cantavo: “Non c’è casa, non c’è cibo, non c’è altro che dolor”. O profetiche parole! Dolore, dolore, dolore per Te, per me! Ti cantavo: “Dormi, dormi sul mio cuore”. Anche ora: qui, qui, qui…».
E, sedendosi sull’orlo della pietra, se lo raccoglie in grembo, passandosi un braccio del Figlio sulle spalle, appoggiandosi il capo del Figlio sull’òmero e su quel capo piegando il suo, tenendolo stretto al petto, ninnandolo, baciandolo, straziata e straziante.
610.11 Nicodemo e Giuseppe si avvicinano, appoggiando ad una specie di sedile, che è all’altra parte della pietra, vasi e bende, e la sindone monda e un catino con acqua, mi pare, e batuffoli di filacce, mi pare.
Maria vede e chiede, forte: «Che fate voi? Che volete? Prepararlo? A che? Lasciatelo in grembo alla sua Mamma. Se riesco a scaldarlo, prima risorge. Se riesco a consolare il Padre e a consolare Lui dell’odio deicida, il Padre perdona prima, e Lui prima torna».
La Dolorosa è quasi delirante.
«No, non ve lo do! L’ho dato una volta, una volta l’ho dato al mondo, e il mondo non lo ha voluto. L’ha ucciso per non volerlo. Ora non lo do più! Che dite? Che lo amate? Già! Ma perché allora non l’avete difeso? Avete atteso, a dirlo che lo amavate, quando non era più che uno che non poteva più udirvi. Che povero amore il vostro! Ma se eravate così paurosi del mondo, al punto di non osare di difendere un innocente, almeno lo dovevate rendere a me, alla Madre, perché difendesse il suo Nato. Lei sapeva chi era e che meritava. Voi!… Voi lo avete avuto a Maestro, ma non avete nulla imparato. Non è vero forse? Mento forse? Ma non vedete che non credete alla sua Risurrezione? Ci credete? No. Perché state là, preparando bende e aromi? Perché lo giudicate un povero morto, oggi gelido, domani corrotto, e lo volete imbalsamare per questo. Lasciate le vostre manteche. Venite ad adorare il Salvatore col cuore puro dei pastori betlemmiti. Guardate: nel suo sonno non è che uno stanco che riposa. Quanto ha faticato nella vita! Sempre più ha faticato! E in queste ultime ore, poi!… Ora riposa. Per me, per la Mamma sua non è che un grande Bambino stanco che dorme. Ben misero il letto e la stanza! Ma anche il suo primo giaciglio non fu più bello, né più allegra la sua prima dimora. I pastori adorarono il Salvatore nel suo sonno di Infante. Voi adorate il Salvatore nel suo sonno di Trionfatore di Satana. E poi, come i pastori, andate a dire al mondo: “Gloria a Dio! Il Peccato è morto! Satana è vinto! Pace sia in Terra e in Cielo fra Dio e l’uomo!”. Preparate le vie al suo ritorno. Io vi mando. Io che la Maternità fa Sacerdotessa del rito. Andate. Ho detto che non voglio. Io l’ho lavato col mio pianto. E basta. Il resto non occorre. E non vi pensate di porlo su di Lui. Più facile sarà per Lui il risorgere se libero da quelle funebri, inutili bende. Perché mi guardi così, Giuseppe? E tu perché, Nicodemo? Ma l’orrore di questa giornata ebeti vi ha fatto? Smemorati? Non ricordate? “A questa generazione malvagia e adultera, che cerca un segno, non sarà dato che il segno di Giona… Così il Figlio dell’uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della Terra”. Non ricordate? “Il Figlio dell’uomo sta per essere dato in mano agli uomini che l’uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà”. Non ricordate? “Distruggete questo Tempio del Dio vero ed in tre giorni Io lo risusciterò”. Il Tempio era il suo Corpo, o uomini. Scuoti il capo? Mi compiangi? Folle mi credi? Ma come? Ha risuscitato i morti e non potrà risuscitare Se stesso?
610.12 Giovanni?».
«Madre!».
«Sì, chiamami “madre”. Non posso vivere pensando che non sarò chiamata così! Giovanni, tu eri presente quando risuscitò la figlioletta di Giairo e il giovinetto di Naim. Erano ben morti, quelli, vero? Non era solo un pesante sopore? Rispondi».
«Morti erano. La bambina da due ore, il giovinetto da un giorno e mezzo».
«E sorsero al suo comando?».
«E sorsero al suo comando».
«Avete udito? Voi due, avete udito? Ma perché scuotete il capo? Ah! forse volete dire che la vita torna più presto in chi è innocente e giovinetto. Ma il mio Bambino è l’Innocente! Ed è il sempre Giovane. È Dio, mio Figlio!…». La Madre guarda con occhi di strazio e di follia i due preparatori che, accasciati ma inesorabili, dispongono i rotoli delle bende inzuppate ormai negli aromi.
Maria fa due passi. Ha rideposto il Figlio sulla pietra con la delicatezza di chi depone un neonato nella cuna. Fa due passi, si curva ai piedi del letto funebre, dove in ginocchio piange la Maddalena, e l’afferra per una spalla, la scuote, la chiama: «Maria. Rispondi. Costoro pensano che Gesù non possa risorgere perché uomo e morto di ferite. Ma tuo fratello non è più vecchio di Lui?».
«Sì».
«Non era tutto una piaga?».
«Sì».
«Non era già putrido prima di scendere nel sepolcro?».
«Sì».
«E non risorse dopo quattro giorni di asfissia e di putrefazione?».
«Sì».
«E allora?».
610.13 Un silenzio grave e lungo. Poi un urlo inumano. Maria vacilla portandosi una mano sul cuore. La sostengono. Ma Lei li respinge. Pare respinga i pietosi. In realtà respinge ciò che Lei sola vede. E urla: «Indietro! Indietro, crudele! Non questa vendetta! Taci! Non ti voglio udire! Taci! Ah! mi morde il cuore!».
«Chi, Madre?».
«O Giovanni! Satana è! Satana che dice: “Non risorgerà. Nessun profeta l’ha detto”. O Dio altissimo! Aiutatemi tutti, o voi, spiriti buoni, o voi, uomini pietosi! La mia ragione vacilla! Non ricordo più nulla. Che dicono i profeti? Che dice il salmo? Oh! chi mi ripete i passi che parlano del mio Gesù?».
È la Maddalena che con la sua voce d’organo dice il salmo davidico sulla Passione del Messia.
La Madre piange più forte, sorretta da Giovanni, e il pianto cade sul Figlio morto che ne è tutto bagnato. Maria vede, e lo asciuga, e dice a voce bassa: «Tanto pianto! E quando avevi tanta sete neppure una stilla te ne ho potuto dare. E ora… tutto ti bagno! Sembri un arbusto sotto una pesante rugiada. Qui, che la Mamma ti asciuga, Figlio! Tanto amaro hai gustato! Sul tuo labbro ferito non cada anche l’amaro e il sale del materno pianto!…».
Poi chiama forte: «Maria. Davide non dice… Sai Isaia? Di’ le sue parole…».
La Maddalena dice il brano sulla Passione e termina con un singhiozzo: «… consegnò la sua vita alla morte e fu annoverato tra i malfattori, Egli che tolse i peccati del mondo e pregò per i peccatori».
«Oh! Taci! Morte no! Non consegnato alla morte! No! No! Oh! che il vostro non credere, alleandosi alla tentazione di Satana, mi mette il dubbio nel cuore! E dovrei non crederti, o Figlio? Non credere alla tua santa parola?! Oh! dilla all’anima mia! Parla. Dalle sponde lontane, dove sei andato a liberare gli attendenti la tua venuta, getta la tua voce d’anima alla mia anima protesa, alla mia che è qui, tutta aperta a ricevere la tua voce. Dillo a tua Madre che torni! Di’: “Al terzo giorno risorgerò”. Te ne supplico, Figlio e Dio! Aiutami a proteggere la mia fede. Satana la attorciglia nelle spire per strozzarla. Satana ha levato la sua bocca di serpe dalla carne dell’uomo, perché Tu gli hai strappato questa preda, e ora ha confitto l’uncino dei suoi denti velenosi nella carne del mio cuore e me ne paralizza i palpiti, e la forza, e il calore. Dio! Dio! Dio! Non permettere che io diffidi! Non lasciare che il dubbio mi agghiacci! Non dare libertà a Satana di portarmi a disperare! Figlio! Figlio! Mettimi la mano sul cuore. Caccerà Satana. Mettimela sul capo. Vi riporterà la luce. Santifica con una carezza le mie labbra, perché si fortifichino a dire: “Credo” anche contro tutto un mondo che non crede. Oh! che dolore è non credere! Padre! Molto bisogna perdonare a chi non crede. Perché, quando non si crede più… quando non si crede più… ogni orrore diviene facile. Io te lo dico… io che provo questa tortura. Padre, pietà dei senza fede! Da’ loro, Padre santo, da’ loro, per questa Ostia consumata e per me, ostia che si consuma ancora, da’ la tua Fede ai senza fede!».
610.14 Un lungo silenzio.
Nicodemo e Giuseppe fanno un cenno a Giovanni e alla Maddalena.
«Vieni, Madre». È la Maddalena che parla, cercando di allontanare Maria dal Figlio e di dividere le dita di Gesù intrecciate fra quelle di Maria, che le bacia piangendo.
La Mamma si raddrizza. È solenne. Stende un’ultima volta le povere dita esangui, conduce la mano inerte a fianco del Corpo. Poi abbassa le braccia verso terra e, ben dritta, colla testa lievemente riversa, prega e offre. Non si ode parola. Ma si capisce che prega da tutto l’aspetto. È veramente la Sacerdotessa all’altare, la Sacerdotessa
nell’attimo dell’offerta. «Offerimus [46] praeclarae majestati tuae de tuis donis, ac datis, hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam…».
Poi si volge: «Fate pure. Ma Egli risorgerà. Inutilmente voi diffidate della mia ragione e siete ciechi alla verità che Egli vi disse. Inutilmente tenta Satana di insidiare la mia fede. A redimere il mondo manca anche la tortura data al mio cuore da Satana vinto. La subisco e la offro per i futuri. Addio, Figlio! Addio, mia Creatura! Addio, Bambino mio! Addio… Addio… Santo… Buono… Amatissimo e amabile… Bellezza… Gioia… Fonte di salute… Addio… Sui tuoi occhi… sulle tue labbra… sui tuoi capelli d’oro… sulle tue membra gelide… sul tuo Cuore trafitto… oh! sul tuo Cuore trafitto… il mio bacio… il mio bacio… il mio bacio… Addio… Addio… Signore! Pietà di me!». [19 febbraio 1944]
610.15 I due preparatori hanno finito la preparazione delle bende.
Vengono alla tavola e denudano Gesù anche del suo velo. Passano una spugna, mi pare, o un batuffolo di lino sulle membra in una molto frettolosa preparazione delle membra goccianti da mille parti.
Poi spalmano tutto il Corpo di unguenti. Lo seppelliscono addirittura sotto una crosta di manteca. Prima lo hanno sollevato, nettando anche la tavola di pietra su cui posano la sindone, che pende per oltre la metà dal capo del letto. Lo riadagiano sul petto e spalmano tutto il dorso, le cosce, le gambe. Tutta la parte posteriore. Poi delicatamente lo girano, osservando che non venga asportata la manteca degli aromi, e lo ungono anche dalla parte anteriore. Prima il tronco, poi le membra. Prima i piedi, per ultime le mani, che uniscono sul basso ventre.
La mistura degli aromi deve essere appiccicosa come gomma, perché vedo che le mani restano a posto, mentre prima scivolavano sempre per il loro peso di membra morte. I piedi no. Conservano la loro posizione: uno più dritto, l’altro più steso.
Per ultimo, il capo. Dopo averlo spalmato accuratamente, di modo che le fattezze scompaiono sotto lo strato di unguento, lo legano con la fascia mentoniera per mantenere chiusa la bocca.
Maria geme più forte.
Poi alzano il lato pendente della sindone e la ripiegano sopra a Gesù. Egli scompare sotto la grossa tela della sindone. Non è più che una forma coperta da un telo.
Giuseppe osserva che tutto sia bene a posto e appoggia ancora sul viso un sudario di lino e altri panni, simili a corte e larghe strisce rettangolari, che passano da destra a sinistra, al disopra del Corpo, e tengono a posto la sindone, bene aderente al Corpo. Non è la caratteristica fasciatura che si vede nelle mummie e neppure nella risurrezione di Lazzaro. È un embrione di fasciatura.
Gesù ormai è annullato. Anche la forma si confonde sotto i lini. Sembra un lungo mucchio di tela, più stretto ai vertici e più largo al centro, appoggiato sul grigio della pietra.
Maria piange più forte. [4 ottobre 1944]
610.16 Dice Gesù:
«E la tortura continuò con assalti periodici sino all’alba della Domenica. Io ho avuto, nella Passione, una sola tentazione. Ma la Madre, la Donna, espiò per la donna, colpevole di ogni male, più e più volte. E Satana sulla Vincitrice infierì con centuplicata ferocia.
Maria l’aveva vinto. Su Maria la più atroce tentazione. Tentazione alla carne della Madre. Tentazione al cuore della Madre. Tentazione allo spirito della Madre. Il mondo crede che la Redenzione ebbe fine col mio ultimo anelito. No. La compì la Madre, aggiungendo la sua triplice tortura per redimere la triplice concupiscenza, lottando per tre giorni contro Satana che la voleva portare a negare la mia Parola e non credere nella mia Risurrezione. Maria fu l’unica che continuò a credere. Grande e beata è anche per questa fede.
Hai conosciuto anche questo. Tormento che fa riscontro al tormento del mio Getsemani. Il mondo non capirà questa pagina. Ma “coloro che sono nel mondo senza essere del mondo” la comprenderanno e aumentato amore avranno per la Madre Dolorosa. Per questo l’ho data.
Va’ in pace con la nostra benedizione».
[45] Luogo di delizie, quello di: Genesi 2, 8-15.
[46] Offerimus… : Offriamo alla tua superna maestà le cose che tu stesso ci hai donato, cioè il sacrificio puro, santo ed immacolato … (dal Messale Romano).
cap. 611 – DCXI.
La chiusura del Sepolcro e il ritorno al Cenacolo.
28 marzo 1945.
611.1 Giuseppe d’Arimatea spegne una delle torce, dà un’ultima occhiata e si avvia all’apertura del sepolcro tenendo accesa e alta la superstite torcia.
Maria si china ancora una volta per baciare il Figlio attraverso le sue coperture. E vorrebbe farlo dominando la sua pena, per contenerla in una forma di rispetto al Cadavere che, già imbalsamato, non le appartiene più. Ma, quando è prossima al Volto velato, non si domina più e si abbatte in una nuova crisi di desolazione.
La sollevano di là a fatica, la allontanano, con ancora maggiore fatica, dal letto funebre. Ricompongono le tele scomposte e, più portandola di peso che sorreggendola, portano via la povera Madre, che si allontana col volto girato all’indietro, per vedere, per vedere il suo Gesù che resta solo nel buio del sepolcro.
611.2 Escono nell’ortaglia silenziosa nella luce vespertina. Già la relativa luce, che si è rifatta dopo la tragedia del Golgota, si torna ad incupire per la notte che scende. E là, sotto le ramaglie fitte, per quanto ancora nude di fronde e appena ornate delle bocche bianco-rosa dei meli in boccio, stranamente in ritardo in questo frutteto di Giuseppe, mentre altrove sono già tutti coperti di fiori aperti e anche già fecondati in minuscoli pomi, vi è ancora più penombra che altrove.
Viene fatta scorrere la pesante pietra del sepolcro nella sua cunella. Dei lunghi rami di un rosaio scapigliato, che si rovesciano dall’alto della grotta verso il suolo, paiono bussare a quella porta di pietra e dire: «Perché ti chiudi davanti ad una madre che piange?». E paiono piangere anche loro gocce di sangue coi petali rossi che si sfogliano, colle corolle che si adagiano lungo la pietra scura, coi boccioli serrati che battono contro la inesorabile chiusura.
611.3 Ma presto altro sangue bagna quella porta sepolcrale e altro pianto. Maria, fino allora sorretta da Giovanni e abbastanza quieta nel suo singhiozzare, si svincola dall’apostolo e con un grido, che io credo abbia fatto tremare anche le fibre delle piante, si getta contro la porta, si attacca alla sporgenza di essa per respingerla, si scortica le dita e si spezza le unghie senza riuscirvi, e fa leva fin col capo premuto contro questa sporgenza ruvida. E il suo gemito ha del ruggito di una leonessa che si sveni sulla soglia della trappola dove sono chiusi i suoi nati, pietosa e feroce per amore di madre.
Non ha più nulla della mite vergine di Nazaret, della paziente donna fin qui conosciuta. È la madre. Solo e semplicemente la madre, attaccata con tutte le fibre ed i nervi della carne e dell’amore alla sua creatura. È la più vera «padrona» di quella carne che ha generato, l’unica padrona dopo Dio, e non vuole le sia rubata questa sua proprietà. È la «regina» che difende il suo serto: il figlio, il figlio, il figlio.
Tutta la ribellione e le ribellioni che in trentatré anni ogni altra donna avrebbe avuto contro l’ingiustizia del mondo verso la sua creatura, tutte le ferocie sante e lecite che ogni altra madre avrebbe avuto durante quelle ultime ore per ferire e uccidere con le mani e coi denti gli assassini del suo nato, tutte queste cose che Ella per amore del genere umano ha sempre domate, ora si agitano nel suo cuore, bollono nel suo sangue e, mite anche nel suo dolore che la fa pazza, Ella non impreca, Ella non si avventa. Ma solo chiede alla pietra che si apra, che le ceda il passo, perché il suo posto è là dentro, dove Egli è. Ma solo chiede agli uomini, impietosi nella loro pietà, di ubbidirle e di aprire.
Dopo avere percosso e sanguinato con le labbra e con le mani sulla pietra tenace, si volge, si appoggia a braccia aperte, abbrancando ancora i due orli della pietra, e terribile nella sua maestà di Madre dolorosa ordina: «Aprite! Non volete? Ebbene, io qui resto. Dentro no? Qui fuori, allora. Qui è il mio pane e il mio letto. Qui è la mia dimora. Non ho altre case né altro scopo. Voi andate pure. Tornate nel mondo che è uno schifo. Io resto dove non è bramosia e odor di sangue».
«Non puoi, Donna!».
«Non puoi, Madre!».
«Non puoi, Maria, cara!».
E cercano di staccarle le mani dalla pietra, impauriti di quegli occhi, che essi non conoscono ancora con quel bagliore che li fa duri e imperiosi, vitrei, fosforici.
611.4 La prepotenza non è dei miti, e gli umili non sanno durare nella superbia… E a Maria subito cade la veemenza del volere e l’impero del comandare. Torna ad avere il suo sguardo mite di colomba torturata, perde l’imponenza dell’atto e si curva da capo con atto di supplica, e congiunge le mani pregando: «Oh! mi lasciate! Per i vostri morti, per quelli che amate fra i vivi, pietà di una povera madre!… Sentite… Sentite il mio cuore. Ha bisogno di pace per perdere questo battito crudele. Esso si è messo a battere così lassù, sul Calvario. Il martello faceva ton, ton, ton… e ogni colpo feriva il mio Bambino… e mi picchiava nel cervello e nel cuore… e la testa mi è piena di quei colpi, e il cuore batte veloce così come era quel ton, ton, ton, sulle mani, sui piedi del mio Gesù, del mio piccolo Gesù… Il mio Bambino! Il mio Bambino!…».
Le torna tutto il tormento, che pareva calmato dopo la sua preghiera al Padre presso la tavola dell’unzione. Piangono tutti.
«Ho bisogno di non sentire urli né urti. E il mondo è pieno di voci e di rumori. Ogni voce mi sembra il “grande grido” che mi ha impietrito il sangue nelle vene, e ogni rumore mi sembra quello del martello sui chiodi. Ho bisogno di non vedere volti d’uomo. E il mondo è pieno di volti… Io sono quasi dodici ore che vedo volti di assassini… Giuda… i carnefici… i sacerdoti… i giudei… Tutti, tutti assassini!… Via! Via… Non voglio più vedere alcuno… In ogni uomo è un lupo e un serpente. Io sento ribrezzo e paura dell’uomo… Lasciatemi qui, sotto questi alberi quieti, su quest’erba fiorita… Fra poco ci saranno le stelle… Esse sono state le sue amiche e le mie amiche sempre… Ieri sera esse hanno fatto compagnia alla nostra solitaria agonia… Esse sanno tante cose… Esse vengono da Dio… Oh! Dio! Dio!…», piange e si inginocchia. «Pace, mio Dio! Non mi resti che Te!».
611.5 «Vieni, figlia. Dio ti darà pace. Ma vieni. Domani è il sabato pasquale. Non potremmo venire a portarti cibo…».
«Niente! Niente! Non voglio cibo! Voglio la mia Creatura! Mi sfamo col mio dolore, mi disseto col mio pianto… Qui… Sentite come piange quell’assiolo? Piange con me, e fra poco piangeranno gli usignoli. E domani, nel sole, piangeranno le calandre e i capineri e tutti gli uccelli che Egli amava, e le tortore verranno con me a battere a questa pietra e a
dire [47], e a dire: “Levati, amor mio, e vieni! Amore che stai nel crepaccio della rupe, nel nascondiglio del dirupo, lasciami vedere il tuo viso, lasciami ascoltare la tua voce”. Aaaah! che dico! Anche loro, anche loro, i biechi assassini, me lo hanno interpellato con la parola del Cantico! Sì, venite, o figlie di Gerusalemme, a vedere il vostro Re col diadema onde lo incoronò la sua Patria nel giorno del suo sposalizio con la Morte, nel giorno del suo trionfo di Redentore!».
«Guarda, Maria! Sopraggiungono le guardie del Tempio. Vieni via, ché non ti facciano spregio».
«Le guardie? Spregio? No. Sono vili. Vili sono. E se io marciassi su loro, terribile nel mio dolore, esse fuggirebbero come Satana davanti a Dio. Ma io mi ricordo di essere Maria… e non le colpirò come ne avrei diritto. Starò buona… non mi vedranno neppure. E, se mi vedranno e mi chiederanno: “Che vuoi?”, dirò loro: “L’elemosina di respirare l’aria imbalsamata che esce da questa fessura”. Dirò: “In nome di vostra madre”. Tutti hanno una madre… l’ha detto anche il ladrone pietoso…».
«Ma queste sono peggio dei ladroni. Ti insulteranno».
«Oh!… E c’è ancora un insulto che io non conosca, dopo quelli di oggi?».
611.6 È la Maddalena che trova la ragione capace di piegare la Dolorosa all’ubbidienza. «Tu sei buona, tu santa sei, e credi, e sei forte. Ma noi che siamo?… Tu lo vedi! I più, fuggiti. I superstiti, pavidi. Il dubbio, che è già in noi, ci piegherebbe. Tu sei la Madre. Non hai solo il dovere e il diritto sul Figlio. Ma il dovere e il diritto su ciò che è del Figlio. Tu devi tornare con noi, fra noi, per raccoglierci, per rassicurarci, per infonderci la tua fede. Tu lo hai detto, dopo il tuo giusto rimprovero alla nostra pavidità e miscredenza: “Più facile sarà a Lui il risorgere se libero da queste inutili bende”. Io ti dico: “Se noi riusciremo a riunirci nella fede nella sua Risurrezione, più presto Egli risorgerà. Lo evocheremo col nostro amore…”. Madre, Madre del mio Salvatore, torna con noi, tu, amore di Dio, per darci questo tuo amore! Vuoi dunque che si perda di nuovo la povera Maria di Magdala, che Egli ha salvato con tanta pietà?».
«No. Ne avrei rimprovero. Hai ragione. Devo tornare… cercare gli apostoli… i discepoli… i parenti… tutti… Dire… dire: credete. Dire: Egli vi perdona… A chi l’ho già detto?… Ah! All’Iscariota… Bisognerà… sì, bisognerà cercare anche lui… perché è il più grande peccatore…». Maria resta col capo curvo sul petto, trema come per ribrezzo, e poi dice: «Giovanni, lo cercherai. E me lo porterai. Lo devi fare. E io lo devo fare. Padre, anche questo sia fatto per la redenzione dell’Umanità. Andiamo».
Si alza. Escono dall’ortaglia semioscura. Le guardie li guardano uscire senza far motto.
611.7La strada, polverosa e sconvolta dalla fiumana di popolo che l’ha percorsa e percossa con piedi e pietre e randelli, fa una curva intorno al Calvario per giungere sulla via maestra, che è parallela alle mura. E qui ancora più intense sono le tracce dell’avvenuto. Due volte Maria ha un grido e si curva studiando nella mal luce il suolo, perché le pare vedere del sangue e pensa sia del suo Gesù. Ma non sono che brandelli di stoffe lacerate nella mischia della fuga, io credo. Il torrentello, che corre lungo la via, mormora piano nel grande silenzio che è da per tutto. Sembra che la città sia abbandonata, tanto da essa non viene che silenzio.
Ecco il ponticello che conduce alla erta via del Calvario. E, di fronte a questo, ecco la porta Giudiziaria. Prima di scomparire dentro di quella, Maria si volge a guardare la vetta del Calvario… e piange desolatamente. Poi dice: «Andiamo. Ma conducetemi voi. Io non voglio vedere Gerusalemme, le sue vie, i suoi abitanti».
«Sì, sì, ma facciamo presto. Stanno per chiudere le porte e, lo vedi?, è rinforzata la guardia ad esse. Roma teme subbugli».
«Ne ha ragione. Gerusalemme è un covo di tigri! È una tribù di assassini! È una turba di predoni. E non solo alle sostanze, ma alle vite tendono le zanne rapaci questi usurpatori.
611.8Sono trentadue anni che me la insidiano la vita del mio Bambino… Era un agnellino di latte e rosa, un agnellino d’oro riccio… Appena sapeva dire “Mamma”, e fare i primi passetti, e ridere coi suoi pochi dentini fra le labbra di pallido corallo, quando sono venuti per sgozzarlo… Ora dicono che aveva bestemmiato, e violato il sabato, ed eccitato alla rivolta, e mirato al trono, e peccato con donne… Ma allora che aveva fatto? Quali bestemmie poteva avere detto se appena sapeva chiamare la Mamma? Che poteva violare della Legge, se Egli, l’eterno Innocente, era allora anche il piccolo innocente dell’uomo? Che rivolta poteva eccitare se neppure sapeva fare un capriccio? A che trono mirare? Il suo trono sulla Terra e nel Cielo Egli lo aveva, e non ne chiedeva altri. In Cielo aveva il seno del Padre, in Terra il mio seno. Mai ha avuto occhi per il senso, e voi, giovani e belle, lo potete dire. Ma allora, ma allora… Il suo senso era limitato al bisogno del tepore e del nutrimento, e amoreggiava, sì, ma colla mia tepida mammella, per posargli sopra la faccina e dormire così, e col tondo capezzolo, dal quale il mio amore fluiva in latte… Oh! mia Creatura!… E ti volevano morto! Questo ti volevano levare: la vita! Il tuo unico tesoro. La Madre al Figlio, il Figlio alla Madre, per renderci i più miseri e desolati dell’Universo. Perché levare al Vivo la vita? Perché arrogarvi il diritto di levare questa cosa che è la vita: bene del fiore e dell’animale, bene dell’uomo? Non vi chiedeva nulla il mio Gesù. Non denaro, non gioielli, non case. Una ne aveva, piccola e santa, e l’aveva lasciata per amore di voi, uomini-iene. Quello che ha il piccolo dell’animale, Egli lo aveva rinunciato per voi, ed era andato povero e solo per il mondo, senza più neppure il letto che gli aveva fatto il Giusto, senza neppure più il pane che gli faceva la Mamma, ed aveva dormito là dove aveva potuto ed aveva mangiato come aveva potuto. Nelle case dei buoni, come ogni figlio d’uomo, o sul giaciglio erboso dei prati, vegliato dalle stelle. Seduto ad una mensa, o dividendo con gli uccelli di Dio i chicchi del grano e il frutto del rovo selvatico. E non vi chiedeva nulla. Ma, anzi, vi dava. Voleva solo la vita per darvi con la sua parola la Vita. E voi, e tu, Gerusalemme, della vita lo avete spogliato. Sei sazia e pasciuta del suo Sangue e della sua Carne? O non ti empie ancora? E vuoi, iena dopo vampiro e avvoltoio, pascerti del suo Cadavere e, non ancora satolla di obbrobri e tormenti, ancora vuoi infierire e godere nello sfregiarne le spoglie e rivedere i suoi spasimi, i suoi tremiti, i suoi singulti, le sue convulsioni, in me, nella Madre dell’Ucciso?
611.9Siamo giunti? Perché vi fermate? Che vuole quell’uomo da Giuseppe? Che dice?».
Infatti Giuseppe è stato fermato da uno dei rari passanti e, nel silenzio assoluto della città deserta, si sentono molto bene le loro parole.
«È noto che sei entrato nella casa di Pilato. Profanatore della Legge. Ne renderai conto. La Pasqua t’è interdetta! Sei contaminato».
«Anche tu, Elchia. Mi hai toccato e sono tutto coperto del sangue di Cristo e del suo sudore mortale!».
«Ah! orrore! Via! Via! Quel sangue, via!».
«Non avere paura. Ti ha già abbandonato. E maledetto».
«Ma anche tu, maledetto. E non ti pensare, ora che amoreggi con Pilato, di potere sottrarre il Cadavere. Abbiamo provveduto perché il giuoco cessi».
Nicodemo si è avvicinato lentamente, mentre le donne si sono fermate con Giovanni, addossandosi ad un fondo portale serrato.
«Abbiamo visto», riprende Giuseppe. «Vigliacchi! Avete paura anche di un morto! Ma del mio orto e del mio sepolcro faccio ciò che mi pare».
«Lo vedremo».
«Lo vedremo. Mi appellerò a Pilato».
«Sì. Fornica con Roma, ora».
Nicodemo si fa avanti: «Meglio con Roma che col Demonio come voi, deicidi! E del resto, mi dici: come mai rimetti penne? Or ora fuggivi in preda al terrore. Già ti sta passando? Non basta ancora quanto avesti? Non è arsa una tua casa? Trema! Non è finito il castigo, ma anzi viene. Come la Nemesi dei pagani, ti incombe. Né guardie né suggelli vieteranno al Vendicatore di sorgere e colpire».
«Maledetto!». Elchia fugge e va a urtare contro le donne. Comprende e dice un atroce insulto a Maria.
611.10 Giovanni non fa parola. Con un balzo di pantera gli si avvinghia e l’atterra e, tenendolo premuto coi ginocchi, le mani intorno al collo, gli dice: «Chiedile perdono o ti strozzo, demonio». E non lo lascia altro che quando l’altro, premuto e mezzo strangolato dalle mani di Giovanni, non arrangola: «Perdono».
Ma il suo grido ha attirato la ronda. «Alto là! Che avviene? Altre sedizioni? Fermi tutti o sarete colpiti. Chi siete?».
«Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, autorizzati dal Proconsole al seppellimento dell’ucciso Nazzareno, di ritorno dal sepolcro con la Madre, il figlio e le parenti e amiche. Costui ha offeso la Madre e fu obbligato a chiedere perdono».
«Quello solo? Dovevate sgozzarlo. Andate. Soldati, arrestate costui. Che altro vogliono questi vampiri? Anche il cuor delle madri? Salve, giudei!».
«Che orrore! Ma non sono più uomini… Giovanni, sii buono con loro. Guarda al ricordo del mio e tuo Gesù. Egli predicava perdono».
«Madre, hai ragione. Ma sono delinquenti e mi levano di ragione. Sono sacrileghi, offendono te. E non lo posso permettere».
«Sono delinquenti, sì. E sanno di esserlo.
611.11 Guarda quanto pochi per le vie. E quei pochi come scantonano furtivi. Dopo il delitto, i delinquenti hanno paura. Vederli fuggire così, entrare nelle case, asserragliarvisi per paura, mi suscita orrore. Li sento tutti colpevoli del Deicidio. Guarda là, Maria, quel vecchio. È già curvo sulla fossa e pure, or che la luce di quella porta che si apre lo illumina, mi pare di averlo visto sfilare accusando il mio Gesù, là, sul Calvario… Lo diceva ladro… Ladro il mio Gesù!… Quel giovane, poco più che un fanciullo, pronunciava sconce bestemmie invocando il Sangue su lui… Oh! infelice!… E quell’uomo? Così nerboruto e forte, si sarà astenuto dal colpirlo? Oh! non voglio vedere! Guardate: sui volti che hanno si sovrappone il volto dell’anima e… e non hanno più effigie di uomini, ma di demoni… Tanto erano coraggiosi contro il Legato, il Crocifisso… E ora fuggono, si nascondono, si rinserrano. Hanno paura. Di chi? Di un morto. Per loro non è che un morto, poiché negano che sia Dio. Di che dunque hanno paura? A chi chiudono le porte? Al rimorso. Alla punizione. Non giova. Il rimorso è in voi. E vi seguirà in eterno. E la punizione non è umana. E non servono serrami e bastoni, porte e sbarre contro di essa. Essa scende dal Cielo, da Dio, vendicatore del suo Immolato, e penetra oltre mura e porte, e con la sua fiamma celeste vi marca per il castigo soprannaturale che vi attende. Il mondo verrà al Cristo, al Figliuolo di Dio e mio, verrà a Colui che voi avete trafitto, ma voi sarete in eterno i segnati, i Caini di un Dio, marcati come l’obbrobrio della razza umana. Io che sono nata da voi, io che sono Madre di tutti, devo dire che a me, vostra figlia, voi siete stati più che patrigni e che, nello sterminato numero dei miei figli, voi siete quelli che più mi imponete fatica ad accogliervi, perché siete sozzi del delitto verso la mia Creatura. Né ve ne pentite dicendo: “Eri il Messia. Ti riconosciamo e ti adoriamo”. Ecco un’altra ronda romana. L’Amore non è più sulla Terra. La Pace non è più fra gli uomini. E l’Odio e la Guerra si agitano come quelle torce fumose. I dominatori hanno paura della folla scatenata. Sanno per esperienza che, quando quella belva che si chiama uomo ha sentito il sapore del sangue, diviene avida di strage… Ma non temete di questi. Questi non sono leoni né pantere reali. Sono vilissime iene. Si avventano sull’agnello inerme. Ma temono il leone armato di lance e di autorità. Non temete di questi striscianti sciacalli. Il vostro passo ferrato li pone in fuga e il brillare delle vostre lance li fa più miti di conigli.
611.12 Quelle lance! Una ha aperto il cuore del Figlio mio! Quale fra esse? Vederle mi è freccia al cuore… Eppure vorrei averle tutte fra queste mani che tremano, per vedere quale è quella che ancora ha tracce di sangue, e dire: “È questa! Dammela, o soldato! Dàlla ad una madre in ricordo della tua madre lontana, ed io pregherò per lei e per te”. E nessun soldato me la negherebbe. Perché essi, gli uomini di guerra, furono i più buoni davanti all’agonia del Figlio e della Madre. Oh! perché lassù non pensai a questo? Ero come una che ha avuto colpito il capo. Già l’avevo intontito da quei colpi… Oh! quei colpi! Chi mi dà di non sentirli più, qui, nella mia povera testa? La lancia… Come la vorrei!…».
«La possiamo cercare, Maria. Il centurione mi parve molto buono con noi. Credo non me la negherà. Andrò domani».
«Sì, sì, Giovanni. Sono povera. Non ho che poco denaro. Ma me ne spoglio fino all’ultimo picciolo per avere quel ferro… Oh! come ho potuto non chiederlo allora?».
«Maria, cara, nessuno di noi sapeva di quella ferita… Quando la vedesti, i soldati erano lontani».
«È vero… Sono ebete dal dolore. E le vesti? Non ho nulla di suo! Darei il mio sangue per averle…». Maria piange di nuovo desolatamente.
611.13 E giunge così nella via dove è il Cenacolo. È tempo, perché è esausta e si trascina proprio come una vecchia cadente. E lo dice.
«Fa’ cuore. Siamo giunte, ormai».
«Giunte? Tanto breve la via che stamane mi parve tanto lunga? Stamane? È stato stamane? Non di più? Quante ore o quanti secoli sono passati da quando vi sono entrata ieri sera e da quando ne sono uscita questa mattina? Sono proprio io, la Madre cinquantenne, o una vegliarda secolare, una donna di più tempi, ricca di secoli sulle spalle curvate e sulla testa canuta? Mi pare di avere vissuto tutto il dolore del mondo e che esso sia tutto sulle mie spalle che piegano sotto il suo peso. Croce incorporea, ma così pesante! Di pietra. Pesante forse più ancora di quella del mio Gesù. Perché io porto la mia e la sua col ricordo del suo strazio e con la realtà del mio strazio. Entriamo. Poiché si deve entrare. Ma non è un conforto. È un aumento di dolore. Da questa porta è entrato il Figlio mio per l’ultimo suo pasto. Da questa ne è uscito per andare incontro alla morte. E ha dovuto mettere il suo piede là dove il suo traditore l’aveva messo uscendo per chiamare i catturatori dell’Innocente. Contro quell’uscio ho visto Giuda… Giuda ho visto! E non l’ho maledetto. Ma gli ho parlato da madre straziata. Straziata per il Figlio buono e per il figlio malvagio… Ho visto Giuda! Il Demonio ho visto in lui! Io, che ho sempre tenuto Lucifero sotto il mio calcagno e guardando solo Iddio non ho mai abbassato l’occhio su Satana, ho conosciuto il suo volto guardando il Traditore. Ho parlato col Demonio… Ed esso è fuggito, perché non sopporta la mia voce. L’avrà lasciato ora? In modo che io possa parlare a quel morto e io, la Genitrice, tornare a concepirlo con il Sangue di un Dio per partorirlo alla Grazia? Giovanni, giurami che lo cercherai e che non sarai crudele con lui. Non lo sono io, che pur ne avrei diritto… Oh! Lasciatemi entrare in quella stanza dove il mio Gesù ha preso l’ultimo suo pasto. Dove la voce del mio Bambino ha detto le sue ultime parole in pace!».
«Sì. Anderemo. Ma ora, guarda, vieni qui, dove eravamo ieri. Riposa.
611.14Saluta Giuseppe e Nicodemo che si ritirano».
«Li saluto, sì. Oh! li saluto. Li ringrazio. Li benedico!».
«Ma vieni, vieni. Lo farai con più agio».
«No. Qui. Giuseppe… Oh! non ho conosciuto alcuno con questo nome che non mi amasse…».
Maria d’Alfeo dà in uno scoppio di pianto.
«Non piangere… Anche Giuseppe… Era per amore che tuo figlio sbagliava. Voleva darmi umanamente pace… Ma oggi!… Lo hai visto… Oh! tutti i Giuseppe sono buoni con Maria… Giuseppe, io ti dico grazie. E a te, Nicodemo… Il mio cuore si prostra sotto i vostri piedi stanchi per il tanto cammino fatto per Lui… per gli ultimi onori a Lui… Io non ho che il cuore da darvi… e ve lo do, amici leali del Figlio mio… e… e scusate ad una madre trafitta le parole che vi dissi nel sepolcro…».
«Oh! Santa! Tu perdona!», dice Nicodemo.
«Sta’ buona, ora. Riposa nella tua Fede. Domani verremo», aggiunge Giuseppe.
«Sì, verremo. Ai tuoi ordini siamo».
«È sabato domani», obietta la padrona di casa.
«Il sabato è morto. Verremo. Addio. Il Signore sia con voi», e se ne vanno.
611.15 «Vieni, Maria».
«Sì, Madre, vieni».
«No. Aprite. Me lo avete promesso di farlo dopo i saluti. Aprite questa porta! Non potete chiuderla ad una madre. Ad una madre che cerca di respirare nell’aria l’odore del fiato, del corpo del suo Bambino. Ma non sapete che quel fiato e quel corpo gliel’ho dati io? Io, io che l’ho portato nove mesi, che l’ho partorito, allattato, allevato, curato? Quel fiato è mio! Quell’odore di carne è mio! È il mio, fatto più bello nel mio Gesù. Lasciatemelo sentire ancora una volta».
«Ma sì, cara. Domani. Ora sei stanca. Sei ardente di febbre. Non puoi. Stai male».
«Sì. Male. Ma è perché ho negli occhi la vista del suo Sangue e nel naso l’odore del suo Corpo piagato. Che io veda la tavola dove si appoggiò vivo e sano, che io senta il profumo del suo corpo giovanile. Aprite! Non me lo seppellite una terza volta! Già me lo avete celato sotto gli aromi e le bende, poi me lo avete serrato sotto la pietra. Ora perché, perché negare ad una Madre di ritrovare l’ultimo vestigio di Lui nell’alito che Egli ha lasciato oltre questa porta? Lasciatemi entrare. Cercherò per terra, sulla tavola, sul sedile, le tracce dei suoi piedi, delle sue mani. E le bacerò, le bacerò sino a consumarmi le labbra. Cercherò… cercherò… Forse troverò un capello del suo capo biondo. Un capello che non sia ingrommato di sangue. Ma lo sapete cosa è un capello del figlio per la sua mamma? Tu, Maria di Cleofa, tu Salome, siete madri. E non capite? Giovanni? Giovanni? Ascoltami. Io ti sono Madre. Egli mi ha fatto tale. Egli! Tu mi devi ubbidienza. Apri! Io ti amo, Giovanni. Ti ho sempre amato perché lo amavi. Ti amerò più ancora. Ma apri. Apri, dico! Non vuoi? Non vuoi? Ah! non ho dunque più figlio!? Gesù non mi ricusava mai nulla. Perché mi era figlio. Tu ricusi. Non sei tale. Non capisci il mio dolore… Oh! Giovanni, perdona… perdona… Apri… Non piangere… Apri… Oh! Gesù! Gesù!… Ascoltami… Il tuo spirito operi un miracolo! Apri alla tua povera Mamma quest’uscio che nessuno vuole aprire! Gesù! Gesù!».
Maria bussa con le mani serrate a pugno la porticina ben chiusa. È in un parossismo di strazio. Finché impallidisce e, mormorando: «Oh! mio Gesù! Vengo! Vengo!», si rovescia senza forza fra le braccia delle donne piangenti, che la sorreggono per impedirle di cadere ai piedi di quella porta e la trasportano così nella stanza di fronte.
[47] a dire, come in: Cantico dei cantici 2, 13-14; 3, 11.
cap. 612 – DCXII
La notte del Venerdì Santo. Lamento della Vergine. Il velo di Niche e la preparazione degli unguenti.
29 marzo 1945.
612.1Maria, soccorsa dalle donne piangenti, rinviene e piange senza altra forza più che questa di piangere e piangere. Pare veramente che la sua vita debba fluire e consumarsi tutta con quel pianto.
Le vogliono dare qualche ristoro. Marta le offre un poco di vino; la padrona di casa vorrebbe prendesse almeno un poco di miele; Maria d’Alfeo, in ginocchio davanti a Lei, le offre una tazza con del latte tiepido, dicendo: «L’ho munto io stessa alla capretta della piccola Rachele» (sarà una figlia di questi che sono in questa casa di Lazzaro, non so se come inquilini o come custodi). Ma Maria non vuole nulla. Piangere. Solo piangere. E chiedere e sentirsi promettere che saranno cercati apostoli e discepoli, che saranno cercate la lancia e le vesti, e che, a giorno fatto, posto che ora proprio non ve la vogliono lasciare andare, la lasceranno entrare nella stanza del Cenacolo.
«Sì. Se starai un poco quieta, se riposerai un poco, io ti ci condurrò», dice la cognata. «Noi due entreremo ed in ginocchio io cercherò per te ogni segno di Gesù…», e Maria d’Alfeo ha un singhiozzo. «Ma vedi? Qui hai la coppa e il pane spezzato da Lui, usato da Lui per l’Eucarestia. Quale più santo ricordo? Vedi? Giovanni te li ha portati sin da stamane, perché tu li vedessi questa sera…
612.2Povero Giovanni, che è là che piange ed ha paura…».
«Paura? Perché? Vieni, Giovanni». Giovanni esce dall’ombra, perché nella stanza è una sola lucernetta messa sul tavolo presso gli oggetti della Passione, e si inginocchia ai piedi di Maria, che lo carezza e chiede: «Perché hai paura?».
E Giovanni, baciandole le mani e piangendo: «Perché tu stai male. Hai la febbre e l’affanno… E non ti metti quieta. E se duri così morirai come è morto Lui…».
«Oh! fosse vero!».
«No! Madre! Mamma! Oh! è più dolce dire: “Mamma”. Come alla mia! Làsciatelo dire… Ma, come io non trovo differenza fra mia madre e te, e anzi ti amo più di lei, perché tu sei la Mamma che Egli mi ha dato e sei la sua Mamma, tu non fare una troppo grande differenza fra il Figlio tuo nato e il figlio che ti è stato dato… E amami un poco come ami Lui… Se fosse Lui che ti dicesse: “Ho paura che tu muoia”, risponderesti tu: “Oh! fosse vero”? No. Non lo diresti. Ma anzi ti dorresti di andartene e di lasciarlo in un mondo di lupi, Lui, il tuo Agnello… E di me non te ne accori?… Sono tanto più agnello di Lui. Non per bontà e purezza, ma per stupidità e paura. Se tu mi manchi, il povero Giovanni verrà sbranato dai lupi senza aver saputo dare un belato che parli del suo Maestro… Vuoi che muoia così, senza servirlo? Stupido in morte come in vita? No, vero? E allora, Mamma, cerca di metterti quieta… Per Lui… Oh! non dici che risorge? Sì, lo dici, ed è vero. E allora vuoi che quando Egli risorgerà trovi vuota la casa di te? Perché certo Egli verrà qui… Oh! povero, povero Gesù, se invece del tuo grido d’amore sentisse i nostri di cordoglio, se invece di trovare il tuo seno per posare il Capo martirizzato e glorioso trovasse la chiusura del tuo sepolcro… Vivere devi. Per salutarlo quando Egli tornerà… Non dico “al nostro amore”. Noi meritiamo ogni rimprovero per il modo come agimmo. Ma al tuo amore.
612.3Oh! che sarà l’incontro? Ed Egli come sarà? Madre della Sapienza, Mamma dell’ignorantissimo Giovanni, tu che tutto sai, dicci come sarà Egli quando apparirà risorto».
«Lazzaro aveva le ferite delle gambe chiuse, ma se ne vedeva il segno. E apparve avvolto in bende piene di marciume», dice Marta.
«Lo dovemmo lavare e lavare…», aggiunge Maria.
«E debole era, e dovemmo ristorarlo per suo ordine», Marta termina.
«Il figlio della vedova di Naim era come sbalordito e pareva un bimbo incapace di camminare e parlare speditamente, tanto che Egli lo rese alla madre perché gli insegnasse a usare di nuovo del bene della vita. E la figlioletta di Giairo Egli stesso la guidò nei primi passi…», dice Giovanni.
«Io penso che il mio Signore ci manderà un angelo a dirci: “Venite con una veste monda”. Ed il mio amore l’ha già preparata. È nel palazzo. Io non l’ho potuta filare. Ma l’ho fatta filare dalla mia nutrice, che ora è tranquilla sul mio futuro e non piange più. Io ho preso il lino più prezioso e da Plautina ho avuto la porpora, e Noemi l’ha tessuta nella balza; ed io ho fatto la cintura, la borsa e il talet, ricamandoli di notte per non essere vista. Ho imparato da te, Madre. Non è perfetto. Ma, più delle perle che fanno il suo Nome sulla cintura e sulla borsa, lo rendono bello i diamanti del mio pianto d’amore ed i miei baci. Ogni punto è un palpito di devozione per Lui. E io gli porterò quella. Tu permetti, non è vero?».
«Oh!… Io non pensavo che lo privassero della sua veste… non sono pratica degli usi del mondo e della sua ferocia… Credevo di conoscerla già… (e le lacrime rotolano di nuovo lungo le guance ceree) ma vedo che ancora nulla sapevo… E pensavo: “Avrà la veste della Mamma anche dopo”. Gli piaceva tanto!
L’aveva voluta Lui così. E me lo aveva detto [48] da molto tempo: “Tu farai una veste così e così. E me la porterai per la Pasqua… Perché Gerusalemme mi deve vedere in porpurea veste di re…”. Oh! quella lana, candida più di neve, mentre la filavo diveniva rossa agli occhi di Dio e miei, perché il mio cuore ebbe una nuova ferita da quella parola… Le altre, dopo anni o dopo mesi, si erano, se non chiuse, disseccate dal loro gemere sangue. Ma questa! Ogni giorno, ogni ora mi rigirava la spada nel cuore: “Un giorno di meno! Un’ora di meno! E poi sarà morto!”. Oh! Oh!… E il filato sul fuso o sul telaio mi diveniva rosso… È sceso nella tinta, poi, per il mondo… Ma era già rosso…». Maria piange di nuovo.
Cercano sollevarla parlandole della Risurrezione. Chiede Susanna: «Che dici tu? Come sarà, risorto? E come risorgerà?».
E Lei, smarrita, acciecata in quest’ora di martirio redentivo, risponde: «Non so… Più nulla so… Fuorché che Egli è morto!…».
612.4Ha un nuovo scoppio di pianto violento e bacia il lino che era ai fianchi del Figlio, e se lo stringe sul cuore e se lo ninna come fosse un bambino…
E tocca i chiodi, le spine, la spugna, e urla: «Queste! Queste cose ha saputo darti la tua Patria! Ferro, spine, aceto e fiele! E insulti, insulti, insulti! E fra tutti i figli d’Israele fu dovuto scegliere un di Cirene per portarti la croce. Quell’uomo mi è sacro come uno sposo. E se ne conoscessi un altro che ha dato soccorso al mio Bambino io gli bacerei i piedi. Ma dunque nessuno ebbe pietà? Uscite! Andate! Anche vedere voi mi è dolore! Perché fra tutti, fra tutti, non avete saputo ottenere nemmeno una tortura meno crudele. Servi inutili e inerti del vostro Re, uscite!». È tremenda nel suo scatto. Ritta in piedi, rigida, pare persino più alta, con gli occhi imperiosi, il braccio teso che accenna alla porta. Comanda come un regina sul trono.
Escono tutti senza reagire per non eccitarla di più e si siedono fuori della porta chiusa, ascoltando il suo gemere ed ogni rumore che Ella possa fare. Ma dopo il rumore del sedile respinto e dei suoi ginocchi che battono al suolo, perché Ella si inginocchia col capo contro la tavola su cui sono gli oggetti della Passione, non sentono altro che il suo pianto senza soste e conforto.
Ella mormora, ma così piano che quelli di fuori non possono udire: «Padre, Padre, perdono! Divento superba e cattiva. Ma Tu lo vedi. È vero ciò che dico. Erano turbe intorno a Lui. E tutta la Palestina è, in queste feste, fra le mura sante… Sante? No. Non più sante… Tali sarebbero rimaste se Egli fosse spirato in esse. Ma Gerusalemme l’ha espulso come il rigurgito che fa nausea. Perciò in Gerusalemme è solo il Delitto… Ebbene, di tutto questo popolo che lo seguiva non se ne poté radunare un pugno che si imponesse, non dico per salvarlo. Doveva morire per redimere. Ma per farlo morire senza tante torture. Sono stati nell’ombra, oppure sono fuggiti… Il mio cuore si rivolta davanti a tanta viltà. Sono la Madre. Per questo perdona al mio peccato di durezza superba…», e piange…
…Fuori gli altri sono sulle spine e per molti motivi.
612.5Rientra il padrone di casa, che era uscito a curiosare, e porta notizie tremende. Si dice che molti sono morti nel terremoto, molti sono stati feriti in colluttazioni fra seguaci del Nazzareno e i giudei, che molti sono stati arrestati e vi saranno nuove esecuzioni per rivolte e minacce a Roma, che Pilato ha ordinato l’arresto di tutti i seguaci del Nazareno e dei capi del Sinedrio presenti in città o anche già fuggiti per la Palestina, che Giovanna è morente nel suo palazzo, che Mannaen è stato arrestato da Erode per averlo insolentito in piena Corte come complice del deicidio. Insomma un mucchio di notizie catastrofiche…
Le donne gemono. Non tanto per paura di esse stesse, ma quanto per i loro figli e mariti. Susanna pensa allo sposo, noto fra i seguaci di Gesù in Galilea. Maria di Zebedeo pensa al marito, ospite presso un amico, e al figlio Giacomo di cui, dalla sera avanti, non ha notizia. E Marta singhiozza: «Saranno già andati a Betania! Chi non sapeva chi era Lazzaro per il Maestro?».
«Ma è protetto da Roma, lui», rimbecca Maria Salome.
«Oh! protetto! Chissà, con l’odio che per noi hanno i capi d’Israele, che accuse portano contro di lui a Pilato… Oh! Dio!». Marta si mette le mani fra i capelli e grida: «Le armi! Le armi! La casa ne è piena… e anche il palazzo! Lo so! Stamane, all’aurora, è venuto Levi, il guardiano, e mi ha detto… Ma già lo sai anche tu! E l’hai detto ai giudei sul Calvario… Stolta! Hai messo in mano ai crudeli l’arma per uccidere Lazzaro!…».
«L’ho detto, sì. Ho detto il vero senza saperlo. Ma taci, spaventata gallina! Quanto ho detto è la più sicura garanzia per Lazzaro. Si guarderanno bene dall’avventurarsi in ricerche dove sanno essere degli armati! Sono vigliacchi!».
«I giudei sì. Ma i romani no».
«Non temo Roma. È giusta e pacata nelle sue disposizioni».
«Maria ha ragione», dice Giovanni. «Longino mi ha detto: “Spero sarete lasciati tranquilli. Ma, non lo foste, vieni, o manda al Pretorio. Pilato è benigno verso i seguaci del Nazareno. Lo era anche per Lui. Vi difenderemo”».
«Ma se i giudei fanno da loro? Ieri sera erano loro i catturatori di Gesù! E, se dicono che noi siamo profanatori, hanno diritto di prenderci. Oh! i miei figli! Quattro ne ho! Dove saranno Giuseppe e Simone? Erano sul Calvario e poi sono scesi quando Giovanna non resse. Per aiutare e difendere le donne. Loro, i pastori, Alfeo… tutti! Oh! li avranno certo già uccisi. Senti che Giovanna è morente? Lo è certo per ferita. Ed essi, prima che potesse la plebe colpire una donna, l’avranno difesa e saranno morti!… E Giuda e Giacomo? Il mio piccolo Giuda! Il mio tesoro! E Giacomo, dolce come una fanciulla! Oh, non ho più figli! Come la madre dei fanciulli Maccabei sono!…».
612.6Piangono tutte disperatamente. Tutte meno la padrona di casa, che è andata a cercare un nascondiglio per il marito, e Maria Maddalena, che non piange. Ma getta fuoco dagli occhi, tornando la prepotente donna di un tempo. Non parla. Ma dardeggia le abbattute compagne, e il suo occhio le bolla di un epiteto molto chiaro: «Pusillanimi!».
Passa del tempo così… Ogni tanto uno si alza, apre piano l’uscio, sbircia, torna a chiudere.
«Che fa?», chiedono gli altri.
E chi ha guardato risponde: «È sempre in ginocchio. Prega», oppure: «Pare che parli con qualcuno». E anche: «Si è alzata e gestisce andando su e giù per la stanza».
[senza data[49]]
612.7Lamento della Vergine.
«Gesù! Gesù! Gesù! Dove sei? Mi senti ancora? La senti la tua povera Mamma che grida, adesso, il tuo Nome dopo averlo tenuto in cuore per tante ore? Il tuo Nome santo e benedetto, che è stato il mio amore, l’amore delle mie labbra che sentivano sapore di miele a dire il tuo Nome, delle mie labbra che ora, invece, a dirlo pare che bevano l’amaro che t’è rimasto sulle labbra, l’amaro dell’atroce mistura. Il tuo Nome, amore del mio cuore che si gonfiava di gioia quando lo diceva, così come si era dilatato per travasare il suo sangue e accoglierti e vestirti di esso quando sei sceso a me dal Cielo, così piccino, così minuscolo che avresti potuto posare nel calice della menta selvatica, Tu, tanto grande, Tu, il Potente, annichilito in un germe d’uomo per la salute del mondo. Il tuo Nome, dolore del mio cuore, ora che ti hanno strappato alle carezze della tua Mamma per gettarti fra le braccia dei carnefici, che ti hanno torturato sino a farti morire!
Ne ho il cuore stritolato da questo tuo Nome, che ho dovuto chiudere dentro per tante ore e che cresceva il suo grido più cresceva il tuo dolore, fino a sbriciolarlo come cosa calpestata dal piede di un gigante. Oh! sì che il mio dolore è gigante e mi schiaccia, mi frantuma e non vi è nulla che lo possa sollevare. A chi lo dico il tuo Nome? Nulla risponde al mio grido. Anche se io urlassi sino a spezzare la pietra che chiude il tuo sepolcro, Tu non lo udresti, perché sei morto. Non la senti più la tua Mamma!
612.8Quante volte non ti ho chiamato, o Figlio, in questi trentaquattro anni[50]! Da quando ho saputo che avrei dovuto esser Madre e che il mio Piccino si sarebbe chiamato “Gesù”! Tu non eri nato ed io, carezzandomi il seno dove Tu crescevi, chiamavo piano: “Gesù!”, e mi pareva che Tu ti muovessi per dirmi: “Mamma!”.
Io ti davo già una voce. Me la sognavo già la tua voce. La udivo prima che fosse. E quando l’ho sentita, esile come quella di un agnellino appena nato, tremare nella notte fredda in cui sei nato, io ho conosciuto l’abisso della gioia… e credevo aver conosciuto l’abisso del dolore, perché era il pianto della mia Creatura che aveva freddo, che era in disagio, che piangeva il suo primo pianto di Redentore, ed io non avevo fuoco e cuna e non potevo soffrire in tua vece, Gesù. Non avevo che il seno per fuoco e guanciale, e il mio amore per adorarti, Figlio mio santo.
Credevo aver conosciuto l’abisso del dolore… Era l’alba di quel dolore, era l’orlo di quel dolore. Ora è il meriggio, ora è il fondo. Questo è l’abisso, questo che tocco ora dopo esservi scesa in questi trentaquattro anni, sospinta da tante cose e prostrata nel fondo orrendo, oggi, della tua croce.
Quando eri piccino, io ti cullavo cantando: “Gesù! Gesù!”. Quale armonia più bella e santa di questo Nome, che fa sorridere gli angeli in Cielo? Esso per me era più bello del canto così dolce degli angeli nella notte del tuo Natale. Vi vedevo dentro il Cielo, tutto il Cielo vedevo attraverso quel Nome. Ed ora, a dirlo a Te che sei morto e non mi senti e non rispondi, come Tu non fossi mai stato, io vedo l’Inferno, tutto l’Inferno. Ecco, ora capisco cosa vuol dire esser dannati. È non potere più dire: “Gesù”. Orrore! Orrore! Orrore!…
612.9Quanto durerà questo inferno per la tua Mamma? Tu hai detto: “In capo a tre giorni Io riedificherò questo Tempio”. È tutt’oggi che mi ripeto queste tue parole per non cadere uccisa, per esser pronta a salutarti al tuo ritorno, a servirti ancora… Ma come potrò saperti morto per tre giorni? Tre giorni nella morte Tu, Tu, Vita mia?
Ma come? Tu che tutto sai, poiché sei la Sapienza infinita, non lo sai lo spasimo della tua Mamma? Non te lo puoi figurare ricordando quando ti ho smarrito a Gerusalemme e Tu mi hai visto fendere la folla, che ti stava intorno, con il volto di una naufraga che tocca il lido dopo tanta lotta con l’onde e la morte, col viso di una che esce da una tortura spossata, svenata, invecchiata, spezzata? E allora ti potevo pensare unicamente smarrito. Potevo illudermi che era solo così. Oggi no. Oggi no. Lo so che sei morto. Non è possibile l’illusione. Ti ho visto uccidere. Ecco, anche se il dolore mi smemorasse, ecco qui il tuo Sangue sul mio velo che mi dice: “È morto! Non ha più sangue! Questo è l’ultimo, sgorgato dal suo Cuore!”. Dal suo Cuore! Dal Cuore del mio Bambino! Del Figlio mio! Del mio Gesù! Oh! Dio, Dio pietoso, non mi far ricordare che gli hanno spaccato il Cuore!…
612.10Gesù! Non posso stare qui, sola, mentre Tu sei là, solo. Io che non ho amato mai le vie del mondo e le folle, e Tu lo sai, da quando Tu hai lasciato Nazareth ti sono venuta sempre più sovente dietro, per non vivere lontano da Te. Non potevo vivere lontana da Te. Ho affrontato curiosità e scherni, non conto le fatiche perché esse si annullavano nel vederti, pur di vivere dove Tu eri. Ed ora io son qua sola. E Tu sei là solo! Perché non mi hanno lasciata nel tuo sepolcro? Mi sarei seduta presso il tuo gelido letto, tenendoti una mano nelle mie per farti sentire che t’ero vicina… No, per sentire che m’eri vicino. Tu non senti più nulla. Sei morto!
Quante volte ho passato le notti presso la tua cuna, pregando, amando, beandomi di Te! Vuoi che ti dica come dormivi, coi pugnetti chiusi come due bocci di fiore presso il visino santo? Vuoi che ti dica come sorridevi nel sonno e, ricordandoti certo del latte della Mamma, dormendo facevi l’atto di succhiare? Vuoi che ti dica come ti svegliavi e aprivi gli occhietti e ridevi, vedendomi curva sul tuo viso, e tendevi le manine con gioia impaziente per esser preso, e con uno stridetto dolce come il trillo di un capinero reclamavi il tuo cibo? Ah! che ero beata quando ti attaccavi al mio seno e sentivo il tepore liscio della tua gota, la carezza delle tue manine sulla mia mammella! Non sapevi stare senza la tua Mamma.
E ora sei solo! Perdonami, Figlio, d’averti lasciato solo. Di non essermi ribellata per la prima volta nella vita e di aver voluto restare là. Era il mio posto. Mi sarei sentita meno desolata se fossi stata presso il tuo funebre letto, ad accomodarti le fasce come un tempo, a mutarle… Anche se Tu non avessi potuto sorridermi e parlarmi, a me sarebbe parso di averti di nuovo piccino. Ti avrei accolto sul cuore per non farti sentire il freddo della pietra, il duro del marmo. Non ti ho tenuto anche oggi? Il grembo di una madre è sempre capace di accogliere il figlio, anche se è uomo. Il figlio è sempre un bambino per la sua mamma, anche se è un deposto di croce, coperto di piaghe e ferite.
612.11Quante! quante ferite! Quanto dolore! Oh! il mio Gesù, il mio Gesù tanto ferito! Così ferito! Così ucciso! No. No. Signore, no! Non può esser vero! Io sono pazza! Gesù morto? Io deliro. Gesù non può morire! Soffrire, sì. Morire, no. Egli è la Vita! Egli è Figlio di Dio. È Dio. Dio non muore.
Non muore? E allora perché si è chiamato Gesù? Che vuol dire “Gesù”? Vuol dire… oh! vuol dire: “Salvatore”! È morto! È morto perché è il Salvatore! Ha dovuto salvare tutti perdendo Se stesso… Non deliro. No. Non sono pazza. No. Lo fossi! Soffrirei meno! Egli è morto. Ecco il suo Sangue. Ecco la sua corona. Ecco i tre chiodi. Con questi, con questi me lo hanno trafitto!
Uomini, guardate con che avete trafitto Dio, il Figlio mio! E vi devo perdonare. E vi devo amare. Perché Egli vi ha perdonati. Perché Egli mi ha detto di amarvi! Mi ha fatto Madre vostra, Madre degli assassini della mia Creatura! Una delle sue ultime parole, lottando contro il rantolo dell’agonia… “Madre, ecco tuo figlio… i tuoi figli!”. Anche non fossi Colei che ubbidisce, avrei dovuto ubbidire oggi, perché era il comando di un morente.
Ecco. Ecco, Gesù. Io perdono. Io li amo. Ah! mi si spezza il cuore in questo perdono e in questo amore! Mi senti che li perdono e che li amo? Prego per loro. Ecco, prego per loro… Chiudo gli occhi per non vedere questi oggetti della tua tortura, per poterli perdonare, per poterli amare, per poter pregare per loro. Ogni chiodo serve a crocifiggere una mia volontà di non perdonare, di non amare, di non pregare per i tuoi carnefici.
612.12Devo, voglio pensare di essere presso la tua cuna. Pregavo anche allora per gli uomini. Ma allora era facile. Tu eri vivo ed io, per quanto pensassi crudeli gli uomini, non giungevo mai a pensare che potessero esserlo tanto con Te, che li avevi beneficati oltre misura. Pregavo, convinta che la tua parola li avrebbe fatti più buoni. In cuor mio dicevo loro, guardandoli: “Siete cattivi, malati, ora, fratelli. Ma fra poco Egli parlerà, ma fra poco Egli vincerà in voi Satana. Vi darà la Vita perduta!”. La vita perduta! Tu, Tu, Tu l’hai perduta la vita per loro, Gesù mio!
Se, quando eri nelle fasce, io avessi potuto vedere l’orrore di questo giorno, il mio dolce latte si sarebbe mutato in tossico per il dolore! Simeone l’ha detto: “E una spada ti trapasserà il cuore”. Una spada? Una selva di spade! Quante ferite ti hanno fatto, Figlio? Quanti gemiti hai avuto? Quanti spasimi? Quante gocce di sangue hai versato? Ebbene, ognuna è una spada in me. Sono una selva di spade. In Te non c’è lembo di pelle che non sia piagato. In me non ce ne è che non sia trafitto. Mi trapassano le carni e penetrano nel cuore.
612.13Quando attendevo la tua nascita, ti preparavo le fasce ed i pannilini filando il lino più morbido della terra. Non ho guardato al prezzo per poter possedere lo stame più liscio. Come eri bello nelle fasce della tua Mamma! Tutti mi dicevano: “È bello il tuo Bambino, Donna!”. Eri bello! Dal bianco del lino sporgeva la tua rosea faccina, avevi due occhietti più azzurri del cielo e la testolina pareva avvolta in una nebbia d’oro, tanto i tuoi capellini erano biondi e soffici. Sapevano di fior di mandorlo appena sbocciato. Credevano che io ti profumassi. No. Il mio Tesoro non aveva che il profumo delle fasce lavate dalla sua Mamma, scaldate, baciate dal suo cuore e dal suo labbro. Non ero mai stanca di lavorare per Te…
E ora? Ora non ho più nulla da fare per Te. Da tre anni eri lontano da casa. Ma eri ancora lo scopo dei miei giorni. Pensare a Te. Alle tue vesti. Al tuo cibo: intridere la farina e farne pane, curare le api per darti il miele, vegliare sulle piante perché ti dessero frutta. Come le amavi, le cose che ti portava la tua Mamma! Nessun cibo di ricca mensa, nessuna veste di preziosa stoffa t’erano come queste tessute, cucite, curate, colte dalle mani della tua Mamma. Quando ti raggiungevo, Tu mi guardavi subito le mani, come quando eri piccino ed io e Giuseppe ti davamo i poveri doni per farti sentire che eri il “nostro” Re. Non sei mai stato goloso, Bambino mio; ma era l’amore che cercavi, era questo il tuo cibo, e nelle nostre premure trovavi quello. Anche ora trovavi, cercavi quello, povero Figlio mio così poco amato dal mondo!
Ora più nulla. Tutto è compiuto. Non farà più nulla per Te la tua Mamma. Non hai più bisogno di nulla. Ora sei solo… ed io son sola… Oh! felice Giuseppe che non si è trovato a questo giorno! Io pure non ci fossi più stata! Ma allora Tu non avresti avuto neppure questo conforto di vedere la tua povera Mamma. Saresti stato solo sulla croce come sei solo nel sepolcro. Solo con le tue ferite.
612.14Oh! Dio! Dio, quante ferite ha il Figlio tuo, il Figlio mio! Come le ho potute vedere senza morire, io che tramortivo quando da piccino ti facevi male? Una volta sei caduto nell’orto di Nazareth e ti sei ferito la fronte. Poche gocce di sangue. Ma io, che m’ero sentita morire vedendo gocciare il tuo sangue nella circoncisione, e Giuseppe dovette sostenermi perché tremavo come una che muore, mi pareva che quella ferita minuscola t’avesse ad uccidere, e più col pianto che coll’acqua e coll’olio l’ho medicata, e non ho avuto bene se non quando non ha dato più sangue. Un’altra volta, imparavi a lavorare, ti feristi con la sega. Una piccola ferita. Ma era come se la sega mi avesse divisa nel mezzo. Non ho avuto requie che quando, sei giorni dopo, ho visto risanata la tua mano.
Ed ora? Ed ora? Ora hai le mani, i piedi, il costato aperto, ora la tua carne cade a brandelli, ora hai la faccia contusa, quella faccia che io non osavo sfiorarti col bacio, e impiagata la fronte e la nuca. E nessuno ti ha dato medicamento e conforto.
612.15Guardami il cuore, o Dio che mi hai percossa nella mia Creatura! Guardalo! Non è piagato come il Corpo del Figlio tuo e mio? I flagelli sono scesi come grandine su me, mentre Egli era colpito. Che è la distanza per l’amore? Io ho patito la tortura di mio Figlio! L’avessi patita io sola! Fossi io sulla pietra sepolcrale! Guardami, o Dio! Non goccia sangue il mio cuore?
Ecco il cerchio delle spine. Lo sento. È una fascia che me lo stringe e perfora. Ecco il foro dei chiodi: tre stili infissi nel cuore. Oh! quei colpi! quei colpi! Come non è crollato il Cielo per quei colpi sacrileghi nelle carni di Dio? E non poter urlare! Non poter lanciarmi e strappare l’arma agli assassini e farne difesa per la mia Creatura già morente. Ma doverli udire, udire… e non far nulla! Un colpo sul chiodo, e il chiodo entra nelle carni vive. Un altro colpo, ed entra più ancora. E un altro, e un altro, e si spezzano le ossa e i nervi, e viene trafitta la carne del mio Bambino e il cuore della sua Mamma! E quando ti hanno alzato sulla tua croce? Quanto devi aver sofferto, Figlio santo! Vedo ancora lacerarsi la tua mano nella scossa della caduta. Ho il cuore lacerato come essa.
Sono contusa, flagellata, punta, colpita, trafitta come Te. Non ero con Te sulla croce. Ma guardala, la tua Mamma! È diversa da Te? No, non c’è differenza di martirio. Anzi, il tuo è finito. Il mio dura ancora. Tu non odi più le accuse bugiarde; io le sento. Tu non odi più le bestemmie orrende. Io le sento ancora. Tu non senti più il morso delle spine e dei chiodi e la sete e la febbre. Io sono piena di punte di fuoco e sono come chi muore di arsione e delirio.
612.16Almeno una goccia d’acqua mi avessero lasciato darti. Il mio pianto, se la ferocia degli uomini negava al Creatore l’acqua da Lui creata. Ti ho dato tanto latte, perché eravamo poveri, Figlio mio, e nella fuga in Egitto avevamo tanto perduto e avevamo dovuto rifarci un tetto, dei mobili e vesti e cibo, né sapevamo quanto l’esilio sarebbe durato, né cosa avremmo trovato tornando al paese. Ti ho dato il latte oltre il solito tempo, perché Tu non sentissi mancanza di cibo. Sinché non fu presa la capretta, la tua capretta fui io, Bambino della tua Mamma. Tu avevi già tanti dentini, e mordevi… Oh! gioia vederti ridere nel giuoco infantile!…
Tu volevi camminare. Eri tanto sano e forte. Io ti sorreggevo per ore e ore, e non sentivo spezzarsi le reni nello stare curva su Te, che facevi i tuoi passetti e dicevi ad ogni passo: “Mamma, Mamma!”. Oh! beatitudine sentirti cantare quel nome! Lo dicevi anche oggi: “Mamma, Mamma!”. Ma la tua Mamma non poteva che vederti morire! Neppure accarezzarti i piedi potevo! I piedi? Ah! non avrei potuto, anche se fossero stati alla portata della mia mano, toccarli, per non accrescerne il tormento. Come dovevano soffrire i tuoi poveri piedi, o mio Gesù!
Fossi potuta salire a Te e mettermi fra il legno e il tuo Corpo, e impedire che nelle convulsioni dell’agonia Tu urtassi contro il legno! La sento ancora la tua testa battere nel legno negli ultimi sussulti. E quel suono, quel suono mi fa impazzire. L’ho nella testa… come un martello…
Torna, torna, Figlio caro, Figlio adorato, Figlio santo! Io muoio. Non reggo a questa mia desolazione. Mostrami di nuovo il tuo volto. Chiamami ancora. Io non posso pensarti senza voce, senza sguardo, spoglia fredda e senza vita.
Oh! Padre, soccorrimi Tu! Gesù non mi sente! Non è finita la Passione? Non è tutto compiuto? Non bastano questi chiodi, queste spine, questo sangue, questo mio pianto? Ancora dell’altro ci vuole per guarire l’uomo?
612.17Padre, ti nomino gli strumenti del suo dolore ed il mio pianto. Ma questo è il meno. Quello che lo ha fatto morire sovrumanamente straziato è stato il tuo abbandono. Quello che mi fa urlare è il tuo abbandono. Non ti sento più! Dove sei, Padre santo? Ero la Piena di Grazia. L’Angelo l’ha detto: “Ave, Maria, piena di Grazia, il Signore è con te e tu sei benedetta fra tutte le donne”.
No. Non è vero! Non è vero! Io sono come una maledetta da Te per il suo peccato. Tu non sei più con me. La Grazia si è ritirata come se io fossi una seconda Eva peccatrice. Ma io ti sono sempre stata fedele. In che t’ho dispiaciuto? Hai fatto di me ciò che t’è parso, e ti ho sempre detto: “Sì, Padre. Son pronta”.
Possono dunque mentire gli angeli? E Anna[51], che m’ha assicurato che Tu mi avresti dato il tuo angelo nell’ora del dolore? Sono sola. Non ho più grazia agli occhi tuoi, non ho più Te, Grazia, in me. Non ho più angelo. Mentono dunque i santi? In che ti ho dispiaciuto, se essi non mentono ed io ho meritato quest’ora?
E Gesù? In che ha mancato il tuo Agnello puro e mansueto? In che ti abbiamo offeso che, oltre al martirio dato dagli uomini, si debba avere la tortura incalcolabile del tuo abbandono? Lui, Lui poi, che t’era Figlio e che ti chiamava con quella voce che ha fatto rabbrividire la Terra e scuotersi in un singulto di pietà. Come hai potuto lasciarlo solo in tanto tormento?
Povero Cuore di Gesù che ti amava tanto! Dove è il segno della ferita del Cuore? Eccolo. Guarda, Padre, questo segno. Qui è l’impronta della mia mano penetrata nello squarcio della lanciata. Qui… qui… Non pianto, non bacio della sua Mamma, che ha arsi gli occhi e consumate le labbra per il piangere e il baciare, lo cancellano. Questo segno grida e rimprovera. Questo segno, più del sangue di Abele, grida a Te dalla Terra. E Tu, che hai maledetto Caino e ne hai fatto le vendette, non sei intervenuto per il mio Abele, già svenato dai suoi Caini, ed hai permesso l’ultimo spregio! Tu gli hai stritolato il Cuore col tuo abbandono e hai lasciato che un uomo lo mettesse a nudo, perché io lo vedessi e ne fossi stritolata. Ma di me non importa. È di Lui, di Lui che ti chiedo e ti chiamo a rispondere. Non dovevi…
612.18Oh! perdono! Perdono, Padre santo! Perdona ad una Madre che piange la sua Creatura… È morto! È morto il Figlio mio! Morto col Cuore squarciato! Oh! Padre! Padre, pietà! Io ti amo! Noi ti abbiamo amato e Tu ci hai tanto amati. Come hai permesso che fosse ferito il Cuore del nostro Figlio? Oh! Padre!… Padre, pietà di una povera donna! Io bestemmio, Padre! Io serva tua, tuo nulla, oso rimproverarti! Pietà! Sei stato buono. Sei stato buono. La ferita, l’unica ferita che non gli ha fatto male, è questa. Il tuo abbandono ha servito a farlo morire avanti al tramonto per evitargli altre torture.
Sei stato buono. Tutto fai con fine di bontà. Siamo noi creature che non comprendiamo. Sei stato buono. Buono sei stato! Dilla, anima mia, questa parola, per levare il mordente del tuo soffrire al tuo soffrire. Dio è buono e ti ha sempre amata, anima mia. Dalla cuna a quest’ora ti ha sempre amata. Ti ha dato tutta la gioia del Tempo. Tutta. Ti ha dato Lui stesso. È stato buono. Buono. Buono. Grazie, Signore. Che Tu sia benedetto per la tua infinita bontà!
Grazie. Gesù, dico “grazie” anche per Te. Questa almeno non l’hai sentita, Figlio mio! Io sola l’ho sentita nel mio, quando ho visto il tuo Cuore aperto. Ora è nel mio la tua lancia, e fruga, e strazia. Ma meglio così! Tu non la senti. Ma Gesù, pietà! Un segno da Te! Una carezza, una parola per la tua povera Mamma dal cuore straziato! Un segno, un segno, Gesù, se mi vuoi trovare viva al tuo ritorno!». [29 marzo 1945]
612.19Un picchio risoluto all’uscio fa sobbalzare tutti. Il padrone di casa fugge coraggiosamente. Maria di Zebedeo vorrebbe che il suo Giovanni lo seguisse e lo spinge verso il cortile. Le altre, meno la Maddalena, si stringono l’una coll’altra gemendo.
È Maria di Magdala che va dritta e forte all’uscio e chiede: «Chi bussa?».
Una voce di donna risponde: «Sono Niche. Ho una cosa da dare alla Madre. Aprite! Presto. La ronda è in giro».
Giovanni, che si è svincolato dalla madre ed è corso presso la Maddalena, lavora intorno ai molteplici serrami, tutti ben assicurati questa sera. Apre. Entra Niche con la servente ed un uomo nerboruto che le scorta. Chiudono.
«Ho una cosa…», e piange Niche e non può parlare…
«Che? Che?». Le sono tutti addosso, curiosi.
«Sul Calvario… Ho visto il Salvatore in quello stato… Avevo preparato il velo lombare perché non usasse i cenci dei boia… Ma era tanto sudato, col sangue negli occhi, che ho pensato darglielo perché si asciugasse. Ed Egli lo ha fatto… E mi ha reso il velo. Io non l’ho usato più… Volevo tenerlo per reliquia col suo sudore e il suo sangue. E vedendo l’accanimento dei giudei, dopo poco, con Plautina e le altre romane Lidia e Valeria, insieme, abbiamo deciso di tornare indietro. Per paura che ci levassero questo lino. Le romane son donne virili. Ci hanno messe nel mezzo, io e la servente, e ci hanno protette. È vero che sono contaminazione per Israele… e che toccare Plautina è pericolo. Ma ciò si pensa in tempi di calma. Oggi erano tutti ubbriachi… A casa ho pianto… per ore… Poi è venuto il terremoto e sono svenuta… Rinvenuta, ho voluto baciare quel lino e ho visto… oh!… Vi è sopra la faccia del Redentore[52]!…».
«Fa’ vedere! Fa’ vedere!».
«No. Prima alla Madre. È il suo diritto».
«È tanto sfinita! Non resisterà…».
«Oh! non lo dite! Le sarà di conforto, invece. Avvertitela!».
612.20Giovanni bussa piano all’uscio.
«Chi è?».
«Io, Madre. Fuori è Niche… È venuta nella notte… Ti ha portato un ricordo… un dono… Spera darti conforto con quello».
«Oh! un solo dono mi può confortare! Il sorriso del suo Volto…».
«Madre!». Giovanni l’abbraccia per tema che cada e dice, come confidasse il Nome vero di Dio: «Quello è. Il sorriso del suo Volto, impresso nel lino con cui Niche lo ha asciugato sul Calvario».
«Oh! Padre! Dio altissimo! Figlio santo! Eterno Amore! Siate benedetti! Il segno! Il segno che vi ho chiesto! Fàlla, fàlla entrare!».
Maria si siede perché non si regge più e, mentre Giovanni fa cenno alle donne, che occhieggiano, che Niche passi, Ella si ricompone.
Niche entra e si inginocchia ai suoi piedi con la servente accanto. Giovanni, ritto in piedi, presso Maria, le tiene il braccio dietro le spalle come per sorreggerla. Niche non dice una parola. Ma apre il cofano, estrae il lino, lo spiega. E il Volto di Gesù, il Volto vivo di Gesù, il doloroso e pur sorridente Volto di Gesù, guarda la Madre e le sorride.
Maria ha un grido di amore doloroso e tende le braccia. Le donne le fanno eco dal vano dell’uscio dove si affollano. E la imitano nell’inginocchiarsi davanti al Volto del Salvatore.
Niche non trova una parola. Passa il lino dalle sue alle mani materne e si curva poi a baciarne il lembo. E poi esce a ritroso, senza attendere che Maria rinvenga dalla sua estasi.
Se ne va… È già fuori, nella notte, quando pensano a lei… Non resta che chiudere il portone come era prima.
Maria è di nuovo sola. In un colloquio d’anima con l’effigie del Figlio, perché tutti si ritirano di nuovo.
612.21Altro tempo passa. Poi Marta dice: «Come faremo per gli unguenti? Domani è sabato…».
«E non potremo prendere nulla…», dice Salome.
«E bisognerebbe farlo… Molte libbre di aloe e mirra… ma era così mal lavato…».
«Bisognerebbe avere pronto tutto per l’aurora del primo giorno dopo il sabato», osserva Maria d’Alfeo.
«E le guardie? Come faremo?», chiede Susanna.
«Lo diremo a Giuseppe, se non ci lasciano entrare», risponde Marta.
«Non potremo da noi spostare la pietra».
Risponde la Maddalena: «Oh! in cinque dici che non potremo? Siamo robuste tutte… e l’amore fa il resto».
«E poi verrò io con voi», dice Giovanni.
«Tu no proprio. Non voglio perdere anche te, figlio».
«Ma non ci pensare. Basteremo noi».
«Ma intanto… Chi ci dà gli aromi?».
Restano tutte accasciate… Poi Marta dice: «Potevamo chiedere a Niche se era vero di Giovanna… delle sommosse…».
«È vero! Ma ebeti siamo. Potevamo allora prendere anche gli aromi. Isacco era sul suo uscio quando tornammo…».
612.22«In palazzo sono molti vasetti d’essenze, e c’è incenso fino. Vado a prenderli». E Maria Maddalena si alza dal suo posto e si mette il manto.
Marta grida: «Tu non andrai».
«Io andrò».
«Sei folle! Ti prenderanno!».
«Tua sorella ha ragione. Non andare!».
«Oh! che inutili e urlanti femmine che siete! Invero che Gesù aveva una bella schiera di seguaci! Avete già esaurito la vostra riserva di coraggio? A me, invece, più ne uso e più me ne viene».
«Andrò io con lei. Sono un uomo».
«E io sono tua madre e te lo proibisco».
«Sta’ buona, Maria Salome, e sta’ buono, Giovanni. Vado sola. Non ho paura. So cosa è girare di notte per le vie. L’ho fatto mille volte per il peccato… e dovrei temere ora che vado per servire il Figlio di Dio?».
«Ma oggi la città è in rivolta. Hai sentito l’uomo».
«È un coniglio. E voi con lui. Io vado».
«E se ti trovano i soldati?».
«Dirò: “Sono la figlia di Teofilo, siro, servo fedele di Cesare”. E mi lasceranno andare. E poi… L’uomo davanti ad una donna giovane e bella è un trastullo più innocuo di un filo di paglia. Lo so, per mia vergogna…».
«Ma dove vuoi trovare profumi in palazzo se esso è disabitato da anni?».
«Lo credi? Oh! Marta! Non ricordi che Israele vi obbligò a lasciarlo perché era uno dei miei luoghi di ritrovo con gli amanti? In esso io avevo tutto quanto serviva a farli più folli ancora di me. Quando fui salvata dal mio Salvatore, io ho nascosto, in un luogo noto a me sola, gli alabastri e gli incensi che usavo per le mie orge d’amore. Ed ho giurato che unicamente il pianto sul mio peccato e l’adorazione di Gesù santissimo sarebbero state le acque profumate e gli ardenti incensi di Maria pentita. E di quei segni di un culto profano del senso e della carne ne avrei solo usato per santificarli su Lui e dargli unzione. Ora è l’ora. Vado. Restate. E tranquille. Con me viene l’angelo di Dio e nulla di male mi accadrà. Addio. Vi porterò notizie. E a Lei non dite nulla… Le aumentereste l’affanno…».
E Maria di Magdala esce sicura, imponente.
612.23«Madre, questo ti insegni… E ti dica: “Non fare che il mondo dica che tuo figlio è un vile”. Domani, anzi oggi, perché già è data la seconda vigilia, io andrò cercando i compagni, come Ella vuole…».
«È sabato… non puoi…», obbietta Salome per trattenerlo.
«“Il sabato è morto”, dico io pure con Giuseppe. L’èra nuova è iniziata. Altre leggi, altri sacrifici e cerimonie in essa».
Maria Salome china la testa sui ginocchi e piange senza più protestare.
«Oh! poter sapere di Lazzaro!», geme Maria di Cleofa.
«Se mi lasciate andare lo saprete. Perché i compagni, Simone Cananeo ne ha avuto l’ordine, sono stati condotti, da lui, da Lazzaro. Gesù lo disse, me presente, a Simone».
«Ohimé! Tutti là? Allora tutti perduti!». Maria Cleofa e Salome piangono desolate.
Passa altro tempo fra pianti e attese.
612.24Poi torna Maria Maddalena. Trionfante, carica di borse piene di vasetti preziosi.
«Vedete che nulla è accaduto? Ecco qui: oli di ogni genere, e nardo, e olibano, e benzoino. Non c’è la mirra e l’aloe… Non volevo amarezze io… Le bevo tutte ora… Ma intanto intrideremo queste, e domani prenderemo… oh! pagando, Isacco darà anche di sabato… Prenderemo mirra e aloe».
«Ti hanno vista?».
«Nessuno. Non c’è in giro neppure un pipistrello».
«I soldati?».
«I soldati? Io credo che russino nei loro giacigli».
«Ma le sedizioni… gli arresti…».
«Li ha visti la paura di quell’uomo…».
«Chi è nel palazzo?».
«Ma Levi e la moglie. Tranquilli come pargoli. Gli armati sono fuggiti… ah! ah! bei prodi abbiamo, per mia fede!… Sono fuggiti appena seppero della condanna. Dico il vero: Roma è dura e usa il flagello… Ma con questo si fa temere e servire. Ed ha uomini, non conigli… Oh! sì! Egli diceva: “I miei seguaci conosceranno la mia stessa sorte”. Umh! Se molti romani diverranno di Gesù, ciò può essere. Ma se deve avere martiri fra gli israeliti! Resterà solo… Ecco. Questo è il mio sacco. E questo è di Giovanna, che… Sì. Non solo vili, ma mentitori siamo. Giovanna non è che accasciata. Lei ed Elisa si sono sentite male sul Golgota. Una è una madre che ebbe morto il figlio, e sentire i rantoli di Gesù la fecero stare male. L’altra è delicata, non usa a tanto cammino e a tanto sole. Ma niente ferite, niente agonie. Piange, come noi, certo. Non di più. Si rammarica di essere stata condotta via. Domani verrà. E manda questi aromi. Quelli che aveva. Con lei era rimasta Valeria, per ordine di Plautina, ed ora se ne è andata con gli schiavi alla casa di Claudia, perché loro hanno molti incensi. Quando verrà, perché anche lei, per grazia del Cielo, non è una lepre sempre tremante, non mettetevi ad urlare come sentiste il gladio alla gola. Su. Alzatevi. Prendiamo dei mortai. Lavoriamo. Piangere non giova. O, almeno, piangete e lavorate. Sarà stemperato col pianto il nostro balsamo. Ed Egli lo sentirà su di Lui… Sentirà l’amore nostro». E si morde le labbra, per non piangere e per dare forza alle altre, veramente disfatte.
Lavorano con lena.
612.25Maria chiama Giovanni.
«Madre, che hai?».
«Questi colpi…».
«Tritano gli incensi…».
«Ah!… Ma… perdonate… Non fate quel rumore… mi sembrano i martelli…».
Infatti i pestelli di bronzo contro il marmo dei mortai fanno proprio un rumore di martelli.
Giovanni lo dice alle donne, e queste escono nel cortile per essere udite meno. Giovanni torna dalla Madre.
«Come li hanno avuti?».
«È andata Maria di Lazzaro. A casa sua, e da Giovanna… E anche altri ne verranno portati…».
«Non è venuto nessuno?».
«Nessuno dopo Niche».
«Ma guardalo, Giovanni, come è bello anche in quel suo dolore!». Maria si assorbe a mani giunte contro il telo, che ha steso contro un cofano tenendolo fermo con dei pesi.
«Bello, sì, Madre. E ti sorride… Non piangere più… Già qualche ora è passata. Meno da attendere il suo ritorno…», e intanto Giovanni piange…
Maria lo accarezza sulla gota. Ma guarda solo l’effigie del Figlio.
Giovanni esce, accecato dal pianto.
612.26Anche la Maddalena, che è tornata a prendere delle anfore, è nelle stesse condizioni. Ma dice all’apostolo: «Non bisogna farsi vedere piangere. Perché, se no, quelle là non sanno più fare nulla. E fare si deve…».
«… e credere si deve», termina Giovanni.
«Sì. Credere. Se non si potesse credere, sarebbe la disperazione. Io credo. E tu?».
«Io pure…».
«Lo dici male. Non ami ancora abbastanza. Se amassi con tutto te stesso, non potresti non credere. L’amore è luce e voce. Anche contro le tenebre della negazione e il silenzio della morte dice: “Io credo”». È splendida la Maddalena, così alta e imponente, imperiosa nella sua confessione di fede! Deve avere il cuore torturato. E i suoi occhi bruciati di pianto lo dicono. Ma l’animo è invitto.
Giovanni la guarda ammirato e mormora: «Tu sei forte!».
«Sempre. Lo fui tanto che seppi sfidare il mondo. Ed ero senza Dio, allora. Ora che ho Lui, sento di sapere sfidare anche l’inferno. Tu, che sei buono, non dovresti essere che più forte di me. Perché la colpa deprime, sai? Più di una consunzione. Ma tu sei innocente… Per questo ti amava tanto…».
«Anche te amava…».
«E io non ero innocente. Ma ero la sua conquista e…».
612.27Bussano al portone con forza.
«Sarà Valeria. Apri».
Giovanni lo fa senza paura, dominato dalla calma di Maria.
È infatti Valeria coi suoi schiavi, che portano la lettiga da cui ella è scesa. Entra salutando latinamente: «Salve».
«La pace sia con te, sorella. Entra», dice Giovanni.
«Posso offrire alla Madre l’omaggio di Plautina? Anche Claudia ha contribuito. Ma se non è dolore per Lei il vedermi».
Giovanni entra da Maria.
«Chi bussa? Pietro? Giuda? Giuseppe?».
«No. È Valeria. Ha portato resine preziose. Te le vorrebbe offrire… se non ti dà pena».
« Devo superare la pena. Egli ha chiamato al suo Regno i figli d’Israele e i pagani. Tutti ha chiamato. Ora… è morto… Ma io sono qui per Lui. E tutti ricevo. Entri».
Valeria entra. Si è levato il mantello oscuro ed è tutta bianca nella sua stola. Si inchina fino a terra. Saluta e parla. «Domina. Tu lo sai chi siamo. Le prime redente dall’oscurantismo pagano. Fango e tenebre eravamo. Tuo Figlio ci ha dato ala e luce. Ora è… è addormentato in pace. Sappiamo i vostri usi. E vogliamo che anche i balsami di Roma siano sparsi sul Trionfatore».
«Dio vi benedica, figlie del mio Signore. E… perdonate se non so dire di più…».
«Non ti sforzare, Domina. Roma è forte. Ma sa anche comprendere il dolore e l’amore. Ti capisce, Madre Dolorosa. Addio».
«La pace sia con te, Valeria! A Plautina, a voi tutte, la mia benedizione».
Valeria si ritira, lasciando i suoi incensi e altre essenze.
«Lo vedi, Madre? Tutto il mondo dà per il Re del Cielo e della Terra».
«Sì», dice Maria. « Tutto il mondo. E la Madre non avrà potuto dargli che il pianto».
612.28Un gallo canta allegro in qualche posto vicino. Giovanni sussulta.
«Che hai, Giovanni?», chiede la Vergine.
«Pensavo a Simon Pietro…».
«Ma non era con te?», chiede la Maddalena che è rientrata nella stanza.
«Sì. In casa di Anna. Poi ho capito che dovevo venire qui. E non l’ho mai più visto».
«Fra poco è l’alba».
«Sì. Aprite».
Aprono le impannate, e i volti sembrano ancor più terrei nella luce verdolina dell’alba.
La notte del Venerdì Santo è finita.
[48] me lo aveva detto, in 303.4 e in 477.9.
[49] senza data è il “Lamento della Vergine”, che è scritto non sui quaderni come tutta l’opera, ma sulle otto facciate di due grandi fogli piegati in due. Lo inseriamo qui perché, a questo punto del quaderno autografo, MV annota: Qui lamento II° di Maria III punto Desolata (annotazione comprensibile per il Padre Migliorini). — Così scrive MV in una lunga nota, della quale abbiamo già riportato alcune parti in 242.6: […] Dalla cuna alla croce, Maria fu tutta per Gesù, e Gesù tutto ebbe da Maria. Pacifica – più ancora: serena – quasi ignorasse il futuro, ebbe sempre per Gesù il sorriso e la parola che incuoravano l’afflitto Maestro e consolarono il divino Martire. Simile ad un mare che cela sotto l’azzurro ridente delle sue placide acque le tempeste e le lotte del fondo, sino a che “tutto fu consumato”, sovvenne, dignitosa, forte e soave insieme, il Figlio suo di tutti i conforti. Soltanto dopo lasciò che crollassero le dighe della sua fortezza e che l’oceano del suo dolore di Madre e di Credente la sommergesse, sino a che Dio lo permise, onde fosse ancor più la Corredentrice. […] …eroica nel suo strazio, come perfetta nel suo duplice amore di Madre e di Credente Ss., fu ancora, sino all’estremo respiro del Martire, il suo supremo Conforto. Consumata, a sua volta, la “sua” passione, incruenta ma non meno atroce, dopo l’ora di nona lasciò libero sfogo al suo dolore smisurato per l’orrendo deicidio e lo straziante omicidio del Figlio unigenito di Dio e suo, perché ormai Egli non necessitava più di materne consolazioni.
[50] trentaquattro anni : non perché Gesù sia vissuto 34 anni – annota MV su una copia dattiloscritta – ma perché Maria vi aggiunge i 9 mesi di gestazione.
[51] Anna è Anna di Fanuel, incontrata in: 6.4/5 – 10.2/7 – 11.3/4 – 12.5 – 13.3 – 32.6.9.
[52] la faccia del Redentore, secondo una promessa adombrata in 382.7.
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